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martedì 14 giugno 2011

Lo sguardo gentile del Parlamento

Le tanto attese elezioni sono finalmente passate. La tensione nelle strade, dopo una domenica elettorale semideserta di autobus vuoti in attesa alle fermate, è scesa. Niente più pulmini, niente più musica a tutto volume né raduni di partiti estemporanei di cui finora ignoravo l'esistenza, come questo dell'Hepar a Kadıköy. I –per fortuna– pochi presenti recitavano in coro il discorso di Atatürk alla gioventù, tenendo entrambe le braccia alzate a mo' di saluto, e sembravano davvero un po' invasati.
Adesso ci sono le buone notizie. Vero che ha vinto l'Akp e se fossimo in Italia non mi augurerei la vittoria di una simile forza politica. Ma qui siamo in Turchia, e devo pensare con un altro cervello. La mancanza di scrupoli negli investimenti e nei progetti edilizi che caratterizza questo partito mi fa paura, come ho già scritto altrove. Ma forse questa mancanza di scrupoli, queste tigri anatoliche che assomigliano di più all'Europa di tanti altri sbandieratori, in virtù dell'interesse al guadagno forse possono davvero migliorare questo Paese, loro malgrado. Non sarà certo un cambiamento profondo e gravido di vantaggi per la democrazia, ma per il momento è quanto di meglio si possa augurare al Paese. Nel suo discorso a scrutini conclusi, Erdoğan si è rivolto alla nazione parlando ai fratelli Curdi, Aleviti, Laz, Sunniti, Circassi. Ha parlato di diritti delle minoranze. I curdi dal canto loro hanno festeggiato la loro piccola grande vittoria (36 candidati entreranno in Parlamento) e la disfatta del partito Repubblicano di Kılıçdaroğlu. Sui giornali sensibili ai diritti delle minoranze è stato molto apprezzato il discorso del capo del Governo: "Magari tutti parlassero dal balcone!". I discorsi di Erdoğan dal balcone sono ormai un appuntamento fisso: per la terza volta, dopo la sua vittoria, è uscito sul famigerato balcone della sede del suo partito e ha parlato alla nazione. Il compromesso con il Partito della Giustizia e dello Sviluppo  è visto come possibile, diversamente con il Chp, benché il suo segretario generale sia  curdo e alevita.

Ma le buone notizie non sono finite qui: ben 78 donne hanno conquistato una poltrona in Parlamento. Tra di esse, ci tengo a menzionare Leyla Zana, finora detenuta dopo che 17 anni fa, dopo la sua elezione a deputata, aveva pronunciato una frase in curdo durante il suo giuramento. Il suo giuramento è pertanto atteso con curiosità. Il Bdp, partito democratico della pace, filo-curdo, ha sostenuto l'elezione della candidata indipendente Sebahat Tuncel, eletta a Istanbul, nella foto qui sotto il giorno prima delle elezioni in una marcia a kadikoy.



Dedikodu

Con la mia solita incapacità diplomatica ho detto ai miei amici che rappresentavano in pieno il maschio turco, tutto-maschio, senza sfumature femminili. Diversamente da come avevo previsto, nessuno si è messo a ridere, e anzi, è calata su di noi un'atmosfera pesante e si stava quasi per consumare un piccolo litigio. Ho cercato di spiegare quello che intendevo, e cioè che ognuno di noi ha un lato femminile e un lato maschile, più o meno in armonia, con la prevalenza dell'uno o dell'altro. Uno teneva la bocca chiusa e continuava a mondare le carote, un altro fingeva di non essersela presa mentre il terzo insisteva nel dire che c'era stato un malinteso dovuto alla lingua.

Questa cosa mi fa tremendamente incazzare -scusate la parolina non proprio delicata- questo continuo usare la differenza (di lingua, di abiti) per giustificare ogni incomprensione, perché definisce un ostacolo insormontabile e decreta l'impossibilità di proseguire oltre. Oltre a segnalare che l'altro non ha alcuna motivazione a stabilire un dialogo e procede a gradoni, saltando i dettagli. Dato che non se ne usciva, avevo quasi cominciato a chiedere scusa per le mie parole offensive, quando mi è venuta un'idea geniale: fare esempi pratici. In effetti, neanche porre sul piano dell'astrazione qualcosa di cui non si ha un terreno comune con l'interlocutore può considerarsi un tentativo di comunicare. Allora ho raccontato di questi uomini che camminano come dei rettangoli indeformabili, con le braccia penzoloni distanti dal bacino almeno venti centimetri, emettendo versi schifosi o sputando, sedendosi esponendo con fierezza la fonte della loro mascolinità, e che al passaggio di minute e raffinate signorine sostano vomitando loro addosso il loro sguardo ferino, come se fosse un diritto, quello di cercare in ogni angolo di carne.

Attenzione, non sto generalizzando a tutti gli uomini che incontro, sto parlando del maschio tuttormoni che solo risponde alle caratteristiche qui trattate. Quando ho a che fare con questi personaggi mi chiedo se loro sappiano quello che mi passa per la testa, che non è "Brutto orco, levami gli occhi di dosso", ma "Quanto è ridicolo e inutile questo personaggio per il progresso dell'umanità, il mio unico dispiacere è se in casa sua è una specie di re".

Badate bene, questo post è sì poco più di un inutile pettegolezzo femminista neanche troppo originale, ma mi piaceva menzionare questo piccolo aneddoto perché indirettamente sto discutendo del corpo, della sua funzione sociale nonché le conseguenze della sua emancipazione sulla decadenza della virilità. Una chance non da poco per l'uomo, che finalmente ha l'occasione di sbrigliarsi dal ruolo così rigido impostogli dalla tradizione e reinventarsi, miscelando a piacere yin e yang, non dovendo più per forza masticare e parlare  contemporaneamente. Tornando ai miei tre amici in cucina. Certo che eravamo in cucina e ognuno si dava da fare, ma non sono certo nè la cucina nè la romanticheria che compongono in me la prevalente parte femminile. Alla fine, con degli esempi un po' cretini, sono riuscita a riportare tutto su un piano ridanciano e la faccenda è morta lì. Il giorno seguente alla fermata del metrobus - dunque zona frequentatissima non solo da auto ma anche da pedoni in attesa - ho visto questo enorme manifesto e mi sono chiesta se quella povera ragazza non si sentiva un po' a disagio nel sapere che questi piccoli orsi nel scrutare il suo corpo sentano dentro di sé una specie di vittoria.

Cartolina post-elettorale

Una gita in un posto bellissimo, unico al mondo. In questo posto il mare diventa come un vasto fiume e si insinua nella terra, portando con sé navi imponenti, correnti portentose e delfini. La terra sta ferma lì, si affaccia, e non può fare altro che guardare, questo incessante trascorrere. La terra è verde e ventosa, lo spazio è enorme, cielo mare e terra che si sciolgono insieme in questa bellezza miracolosa. Questo posto è Istanbul, unico al mondo, irripetibile.

Da qualche decennio a questa parte il verde fisso della terra ha ceduto sempre più il posto al grigio di palazzi brutti, le gru mangiano gli alberi a colazione a pranzo e a cena. Ma da dove mi trovo ora, dall'alto di Anadolu Kavağı, posso vedere che c'è ancora una linea che non è stata sorpassata, che il grigio finisce ad un certo punto e tutto concentrato sembra spingere per invadere il resto. Ma per ora non è passato da qui. Ma se qui dovesse passare il terzo ponte, che fa parte del programma elettorale dell'Akp, non so quanto il fronte verde riuscirà a tenere. E allora questo angolo di mondo unico, questo scorcio incredibile, sarà ricordato come oggi la vecchia Istanbul sulle ristampe delle vecchie cartoline, quando Istanbul era Costantinopoli ed era un sogno arabo.


Nella Istanbul di oggi l'industria edilizia è popolare tanto quanto le merendine: le pubblicità che passa la tv sono per la gran parte merendine e costruzioni di lusso, dove le agenzie immobiliari sono come dei piccoli imperi, delle dinastie, che portano il cognome dei loro fondatori, e che nelle reklam regalano sogni di lusso e il lusso come un diritto di tutti. E' davvero un momento d'oro per l'industria edilizia turca, dalle autostrade che divorano le montagne nella valle del Çoruh al terzo ponte gettato sull'intemperanza di questo stretto. E che cosa può fermare un partito che ha preso il 50% delle preferenze dei cittadini (stessa percentuale nella stessa Istanbul)?

lunedì 6 giugno 2011

Il partito della felicità

Sostenitori del Saadet Partisi mentre si recano al palco da cui parlerà il segretario generale Mustafa Kamalak

Non è solo il terzo ponte sul Bosforo

Un film che ogni turco dovrebbe vedere è Ekümenopolis. Un documentario di Imre Azem, produzione turca-tedesca nuova di zecca, stupendo. L'esempio di come un documentario che parla di cose terribili può anche essere un film bellissimo. Ottimo lavoro giornalistico, ottima la scelta delle persone da intervistare, ottimo il lavoro di post-produzione, la colonna sonora, la parte di animazione, i testi. Finiti i complimenti, veniamo al dunque: si tratta di un argomento che ho già toccato in questo blog, parlando di Sulukule. Parlo del binomio terrificante ditruzione-costruzione e di chi sta in mezzo e ne fa le spese: le persone. Parlo di una catastrofe culturale imminente. Una catastrofe sociale, una catastrofe ecologica. Una perdita senza ritorno. Che ci fosse un disegno generale lo sapevo con certezza, ma avendo lasciato la Turchia mentre facevo le mie ricerche, non ero riuscita a mettere insieme le evidenze di questo disegno. E poi, quasi per caso, questo documentario, che mette in fila: il problema della distruzione dei cosiddetti insediamenti illegali dei gecekondu, la costruzione spropositata di grattacieli-mostri, la sconsideratezza nel distruggere patrimoni storici e culturali irripetibili, la potenza dell'istituto per l'edilizia Toki, che lavora come un ente statale, pianificando la città e approvando progetti, ma in realtà è un ente privato che fa felici tutti i giganti dell'edilizia. Il potere del mattone; è qualcosa di cui abbiamo esperienza diretta anche noi in Italia, su cui la camorra accresce il proprio prestigio, il capitale e ricicla denaro. Solo che qui è tutto più o meno legale.

www.ekumenopolis.net

L'handicap del capitalismo

Tra un negozio di casalinghi e un büfe, tra un marciapiede rotto e una macchina parcheggiata male, ecco comparirmi davanti agli occhi una galleria d'arte, con dei lavori rettangolari in bianco e nero che mi attirano come una calamita. Entriamo. E' la mostra di un certo Turgut Yüksel.


I lavori, tele bianche con sagome nere simili a stencil raffinati che danno l'idea di scene in controluce, in giornate molto assolate, sono il suo augurio di felicità (Saadetler dilerim). I dipinti traboccano di ironia e acutezza semiotica; intendo dire con questo che ogni segno è pertinente ed è evidente che l'artista ne è consapevole, sapendo miscelare e selezionare gli elementi grafici in modo sintetico e diretto. Cosa che mi stupisce, dato che sono abituata alla propensione piuttosto narrativa dell'estetica turca. Di  fronte a molti quadri ci è partita di slancio la risata. Ogni pezzo aveva un titolo, parte grafica integrante dell'opera. Davanti a "Kapitalizm" mi sono lasciata andare ad una avvincente riflessione.



Un uomo aspetta sulla sua sedia a rotelle di fronte ad una scalinata, che termina su un patibolo per l'impiccagione, con il cappio pronto. Significa che per tutta la vita ci sentiamo come se ci mancasse qualcosa, come se avessimo un handicap, e cerchiamo di salire quella scala con tutte le nostre energie, affaticandoci e soffrendo, per poi scoprire che quello a cui ambivamo altro non è che questa brutta fine. Mentre cercavo di spiegare tutto ciò in turco all'amico al mio fianco mi sono resa conto di una cosa interessante della parola turca engelli, che sta per handicappato. Engelli è l'aggettivo che si forma da engel, che significa "ostacolo", così la persona handicappata è la persona che ha un ostacolo, ostacolata. Lo stesso verbo engellemek significa ostacolare ma anche impedire, contrastare, e si usa per esempio negli articoli di giornale per raccontare di come la polizia ferma i manifestanti. Questo per dire che secondo me la sensazione di inadeguatezza a cui ci spinge il sistema capitalistico descritta perfettamente dall'artista è verbalizzabile in modo precipuo solo in turco, o almeno a me non è venuta nessun'altra idea migliore.

Garofani e rivoluzione

A quarantotto anni dalla morte di Nazim Hikmet i suoi seguaci si sono raccolti davanti al Galatasaray Lisesi per commemorarlo, stendendo le sue gigantografie sul selciato, coprendole di garofani rossi, distribuendo fogli con le sue poesie e suonando canzoni. Io li ho colti nel momento in cui suonavano çav bella, la versione turca di bella ciao. Perché, per chi non lo sapesse, Hikmet, oltre ad essere un grande poeta, era anche un grande comunista, che continua a ispirare giovani masse di rivoluzionari come quelli del Tkp, il partito comunista turco, appunto.
Lo stesso partito ha fra i suoi punti di riferimento principali proprio il Nazim Hikmet Kültür Merkezi (centro culturale), dove si trovano libri su ogni rivoluzione e le magliette con il logo "Boyun eğme" -non chinare la testa- che spunta ormai ovunque, muri, manifesti e persone. Nei volantini che distribuiscono, fra le altre, si può trovare una suggestiva immagine del capo del governo Erdoğan che divora una coscia di pollo, accanto a quella di una rissa parlamentare.
Nella foto qui sotto, dopo aver cantato çav bella tutti si sono alzati e i bambini che vendono i cappelli ai passanti hanno distrutto una decina di garofani e calpestato le fotografie.

giovedì 2 giugno 2011

La sorpresa della vita

E' iniziato il festival del documentario (Documentarist- Istanbul Belgesel Günleri). La mia prima visione è stata un film di una regista al suo debutto: Tülin Dağ, con il suo Bir adım ötesi... (Un passo oltre...). Il passo è quello che si fa quando si esce da una prigione dopo dieci anni, il passo che viene dopo e quello dopo ancora. In realtà non è solo questione di mettere un piede in fila dietro all'altro, ma l'inizio di un dramma, di una voragine esistenziale che si apre tra una donna e il mondo, tra la sua mente e il suo corpo. Il film non si sofferma sulle storie personali che hanno portato tre donne in prigione, ma su quello che hanno da dire circa il loro modo di riprendere a vivere, dopo una sospensione di dieci anni. Una delle protagoniste esce, si iscrive all'università, si sposa. La stessa autrice invece, a trent'anni si iscrive all'università e si stupisce di comportarsi esattamente come una diciottenne, cioè l'età in cui è stata allontanata dalla vita e il suo sviluppo emotivo, sentimentale e quello della sua corporeità sono rimasti congelati. Nei loro occhi lo stupore, l'entusiasmo per le cose quotidiane quando accadono davvero. La sorpresa per la vita, che io stessa collegherei a qualcosa che assomiglia molto alla felicità. Raccontano con gli occhi che luccicano come stelle. La prigione è in pieno centro a Istanbul, le voci della vita arrivano da fuori, è tutto così vicino. Ma alle detenute, della vita, non rimane altro che la lettura, l'approfondimento intellettuale, la raffinatezza delle loro discussioni. La donna che è in loro è una ragazzina che quando esce non sa bene cosa assaggiare, non sa come raccontare il proprio disagio e si deprime. Solo lentamente la ragazzina cresce ed è finalmente in grado di portare un vestito da ragazza, di acconciarsi i capelli. Ogni gesto è un'impronta scavata su un terreno vergine, mai calpestato da nessuno, nuovo e fresco.

martedì 31 maggio 2011

Mavi Marmara-fratellanza a Taksim

"Aspetta Palestina, la Mavi Marmara sta arrivando"
I manifesti oggi erano già scomparsi dai muri prima abbondantemente tappezzati. Ma evidentemente ero solo io ad essermi persa il dato che riguardava l'ora: l'appuntamento era per le 21 e 30 a Tünel per camminare fino a Taksim, dove poi li ho trovati. Uniti per la Mavi Marmara e la sua nuova missione, contro l'embargo imposto da Israele a Gaza, nel primo anniversario dell'attacco in cui persero la vita alcuni attivisti turchi. Non so se esagero, ma saranno stati almeno trentamila gli uomini, le donne e i bambini radunati davanti ad un podio da cui parlavano gli organizzatori della manifestazione: la fondazione islamica Ihh. Adesso penso di avere finalmente chiaro cosa significhi essere fieramente religiosi. Tanta potenza e tanto fragore nell'urlare gli slogan, a dire la verità, mi hanno un po' spaventata. Crocicchi o schiere di donne chiuse nel loro niqab nero, come unico colore la striscia di pelle scoperta intorno agli occhi e la fascia verde con i versi del corano intorno alla testa. Uomini con la barba e la taqiya in testa, e ovunque uno sventolare di bandiere palestinesi, bandiere verdi con le scritte in arabo, fiaccole, bandiere turche, striscioni dell'Ihh. Io sono impressionata ma mi sento al sicuro, anche se non sarei nient'altro che un'infedele là in mezzo. Ma d'altronde non tutti in quella piazza erano così radicali. Lo erano senz'altro in molti, ad esempio quelli che sventolavano la bandiera nera della jihad palestinese che si rifà a Fatih Shikaki, o quelli che urlavano "Allah è grande" e "Allah è uno solo", e lasciatemi dire che ogni lotta fatta in nome della religione per me è fondamentalista. Anche se non sembrano curarsene gli altri infedeli che salgono sul palco a dire che anche loro sono per la causa, e tra loro ci sono uno scandinavo che parla in inglese, un italiano che esordisce con "Restiamo umani", in ricordo di Vittorio Arrigoni, e un inglese che parla arabo; il tutto prontamente tradotto in turco. La folla esulta, si scalda. Intorno non vedo polizia..mi sembra strano dato che solo ieri, per una manifestazione di venti donne operaie delle poste che rischiano il licenziamento, erano schierati una cinquantina di poliziotti. Quando mi allontano dalla piazza noto i poliziotti: un gruppetto di una quindicina che sbadigliano da una strada laterale.

lunedì 30 maggio 2011

Pulmini elettorali

La campagna elettorale fa largo uso di minibus e musica. Passano per le stradicciole in salita spaventando giovani e vecchi, sbucando quando meno te lo aspetti. Ad esempio oggi è stato il turno del pulmino azzurro-blu del partito della felicità, sbucato fuori a Şişhane con la faccia del candidato premier stampata su che salutava i passanti a ritmo di cover cantate male di canzoni popolari. Volume al massimo, naturalmente. Si ferma in salita minacciando di capovolgersi e invece si apre lo sportello e ad una ad una scendono più o meno trenta persone: donne con il velo in testa e uomini in maniche di camicia, emergono uno dopo l'altro accompagnati dal trionfo della musica. Quando il pulmino ha finito di rigurgitarli, rimane lì aperto a mostrare la sua gola vuota per un po' con la musica che va e poi richiude il portello e riparte, sempre musicante. E' la campagna elettorale più felice che io abbia mai visto, se non fosse per i vari tentativi di screditare gli avversari con accuse più o meno gravi. Che si tratti di scandali sessuali o di piani eversivi, come per Kiliçdaroğlu, l'altroieri in tv per dire che lui è tranquillo e se ne sta a capo del suo partito (Chp, repubblicano) senza paura, mentre chi dovrebbe vergognarsi è chi presiede ora il governo, che di capi di accusa ne ha tanti di più di  uno.
Segue presto aggiornamento con foto di pulmini elettorali.
Vedi "gallerie fotografiche"

Il vigile urbano

Non mi era mai capitato a Istanbul di vedere un vigile urbano dirigere il traffico. E' successo oggi mentre attraversavo per l'undicesima volta (perché dimenticavo a casa qualcosa o perché ero rimasta chiusa fuori) la stessa strada. Una strada a tre corsie -più o meno, naturalmente non sono tracciate- per ogni senso di marcia con spartitraffico, senza attraversamento pedonale e tantomeno senza semaforo per i pedoni. Ma unico punto obbligato per l'attraversamento. Divento sempre più scaltra ogni volta che attraverso. Mentre, tutta presa nella foga animalesca di uscire dal groviglio di auto, sono riuscita ad approdare sullo spartitraffico, mi sono resa conto che un rumore emergeva su quello dei clacson e dei motori vecchi: il fischietto del vigile urbano. C'era qualcosa di strano però nella sua strategia: stava lasciando defluire il traffico proveniente dalla strada laterale salvo poi fermarlo a metà per mettersi a fischiare con più vigore alle auto ferme al rosso della grande carreggiata agitando la mano per farle passare. Quando la sirena di due volanti della polizia mi ha riempito le orecchie ho capito il perché di quella mossa apparentemente insensata. Passate loro, infatti, il vigile urbano ha ribloccato le auto ferme al rosso e ha fatto ripartire le altre che vi si immettevano. E ha fatto passare i pedoni. Solo allora ho notato il fulcro della scena: un'auto ferma in mezzo alle corsie, cofano aperto e motore fumante; nessuno dentro. Dopo aver attraversato ho visto l'uomo che correva con un vaso da fiori colmo d'acqua urlando "ce l'ho ce l'ho". L'aveva preso in prestito dalle zingare che vendono i fiori in piazza. E' corso a dar da bere al radiatore, mentre il traffico aveva ricominciato a muoversi. L'ho cercato, ma non l'ho visto più: il vigile urbano si era già dileguato.

 

martedì 12 aprile 2011

Nave umanitaria per la Libia

Partirà questa sera (o domani mattina) dal porto marittimo di Zeyport, Istanbul, una nuova missione dell'organizzazione non governativa islamica İHH, diretta a Misurata, in Libia. Il carico consiste di 682 tonnellate di generi di prima necessità, quali cibo e medicinali, per un valore totale di cinque milioni di lire turche, oltre due milioni e mezzo di euro.

La İHH è la stessa Ong turca che aveva guidato la Freedom Flotilla diretta verso Gaza con lo scopo di forzare il blocco imposto da Israele nel maggio dello scorso anno. La nave ammiraglia, la Mavi Marmara, venne abbordata dall'esercito israeliano. L'epilogo, con otto morti tra gli attivisti turchi, oltre ad un americano di origine turca, fu la causa della rottura dei rapporti diplomatici della Turchia con Israele e il trionfo dell'immagine della Turchia come paladina dei diritti dei popoli musulmani repressi.

Così si è espresso il presidente dell'associazione umanitaria Bülent Yıldırım riguardo alla missione in partenza per la Libia: " Vogliamo che questi aiuti raggiungano la gente della Libia, colpita sia dal governo libico che dalle forze Nato, che intendono conquistare il mondo islamico".

Intanto per quanto riguarda la faccenda della Mavi Marmara l'Onu ha convocato un tavolo di discussione con lo scopo di redigere una presentazione da consegnare al segretario generale Ban Ki Moon. Verranno ascoltati diplomatici di entrambe le nazioni coinvolte, Turchia e Israele, rispettivamente il 26 e il 27 aprile. Il tavolo sarà presieduto dall'ex premier neozelandese Geoffrey Palmer e dall'ex presidente colombiano Alvaro Uribe. E mentre una nuova Freedom Flotilla verso Gaza è programmata per il prossimo giugno, il governo israeliano sta già facendo pressioni per invitare i promotori a desistere da questo nuovo tentativo di forzare il blocco.

domenica 10 aprile 2011

Mi schiarisco la voce e faccio le valigie

Dopo un'assenza più o meno lunga, di lontananza dalla Turchia e da questo blog, ritorno a questo mio progetto con l'intento di ripristinare un'umile finestrella di informazione e aggiornamento su ciò che avviene al di qua e al di là del Bosforo.

Questo distacco è motivato dall'intento di questo blog, racchiuso nel suo stesso nome. Nato come raccolta di piccoli reportages, cioè racconti di cose viste e vissute, non essendo più là, non me la sentivo più di continuare a scrivere, raccogliendo cose di seconda mano o riferite da altri.

Perché ho cambiato idea? Intanto perché fra poco tornerò a Istanbul. Pertanto, dato che in quanto reporter scriverò, è giusto anticipare la pubblicazione delle mie storie con qualche riflessione da lontano. Ci saranno le elezioni: anche di questo evento voglio prima dare un'introduzione, densa di dati freddi ma necessari.

E poi sento che è mio dovere parlare di Turchia, perché sono un filtro coscienzioso.

I candidati caldi del Bdp

Il Partito Democratico della Pace, Bdp, il partito della lotta del popolo curdo per i diritti, ha presentato la sua lista di candidati per le prossime elezioni parlamentari del 12 giugno. Fra di essi sei persone sotto processo perché accusati di appartenere al Kck, la confederazione democratica curda voluta da Abdullah Öcalan che il governo turco teme almeno tanto quanto Ergenekon, benché le due realtà non possano essere più lontane. Kck è il frutto degli studi a cui il leader curdo si è dedicato durante i suoi anni in prigione, che non vanno disgiunti dagli inviti rivolti al Pkk di agire in modo democratico e nella ricerca di un dialogo con il governo.

Fra i candidati si distinguono personalità davvero potenti, dal punto di vista emotivo e per la attualità degli eventi ad essi legati. Basta fare un esempio, per ritrovarne il filo già in questo blog: Ahmet Türk, aggredito selvaggiamente esattamente un anno fa, candidato a Mardin. O Leyla Zana, in prigione per dieci anni per aver pronunciato una frase in curdo in parlamento, che è in lista a Diyarbakir.

Il vice primo ministro turco Cemil Çiçek ha dichiarato in tv che la legge non vieta di candidare persone implicate in un processo. E' una scelta del partito, che poi quello che conta è la volontà popolare, ha detto Çiçek.

Per ora i nomi sono 61, tra cui 13 donne, per 39 province.

martedì 21 settembre 2010

Dove si fa il çay

Eccoci finalmente al confine orientale della Turchia. Fra pochi chilometri inizia la Georgia, e precisamente l'Adjaristan, regione autonoma a maggioranza musulmana, con capitale Batum.
Siamo ad Arhavi, sul Mar Nero, uno centri della cultura Laz. A chiunque tu chieda, ti risponde di essere Laz. È incredibile la gioia e la facilitá con cui si inizia a chiacchierare; in un attimo siamo trasportati da un intera famiglia con il loro furgone in cima al loro villaggio, sulle montagne dove si coltiva il té.
Lassú incontriamo altri proprietari, come il vecchio dagli indescrivibili baffetti seduto davanti al suo deposito del té  aspettando che ''i russi'' tornino con il raccolto della giornata.
Qui tutti li chiamano russi, o addirittura sovietici, ma in realtá sono georgiani, e vengono da diverse cittá, da Batum, o addirittura da Tbilisi, attirati dal buon guadagno: 50 TL al giorno.
Sono tutti accovacciati in fila dal mattino presto in cittá e aspettano che qualcuno passi a raccoglierli e portarseli su in montagna, nelle piantagioni. Rimangono qui tre mesi, dormono in hotel. Non parlano turco, o molto poco. Il piú anziano di loro parla bene e ci racconta un po'. Uno di loro ci insegue e ci chiede quanto vogliamo per portarlo in Italia.
Qui c'é una grande serenitá, tutti si salutano cortesemente per la strada, anche salendo e scendendo dalla montagna. Si lamentano un po' dell'apertura dei confini con la Russia, e ne parlano come se si trattasse di un avvenimento recente. Da quel momento sono arrivate la prostituzione e i suoi mali, dicono. Eppure qui l'unica presenza straniera siamo noi e questi lavoratori. Certo la situazione é diversa in cittá come Hopa o Trabzon.
Vorremmo visitare la Çaykur, una delle fabbriche del té. Ma gli addetti alla sicurezza ci dicono che é vietato, come lo è per i georgiani lavorarci dentro. Per loro c'é solo la piantagione.

martedì 17 agosto 2010

Evet, perché yok yok.


''Hayır'' (No) al Nazim Hikmet Kültür Merkezi"
La riforma della giustizia promossa dal partito al governo è davvero nell'interesse dei cittadini o serve solo al partito di Erdoğan a imperare all'insegna dell'anti-secolarismo senza più scomode accuse e cavilli kemalisti? Ciò che mi interessa più di tutto in questa faccenda è osservare come avviene la comunicazione sul referendum, in che modo le informazioni arrivano al cittadino, qual è l'opinione che il cittadino è in grado di formarsi nel caos della propaganda, o per meglio dire, della pubblicità. Perché qui, come in Italia, la politica è un affare di tecniche di comunicazione, e quanto più il messaggio è subliminalmente violento, tanto più raccoglie consenso. Anche qui, come in Italia, mi chiedo come si faccia a votare e credere in una figura come l'attuale primo ministro.
Ho pensato di chiederlo al tassista, che alle 4 di notte ci portava a casa e mentre dentro l'auto sgusciavamo fuori dal ponte sul Bosforo, lui mi guardava e con gli occhi che gli brillavano –quindi non guardava la strada– mi dichiarava il suo amore per Istanbul, per questa città yok yok, questa città a cui non manca nulla: c'è il lavoro, ci sono i soldi, tutto è possibile a Istanbul. "Guarda, io lavoro di notte, sono malato, soffro d'asma, devo smettere di fumare, devo stare attento a tutto..ma questa città è un sogno, che cosa volere di più?"
Stupita da tanto entusiasmo e soddisfazione, ho inferito che allora anche politicamente avevo di fronte un cittadino soddisfatto (non ne avevo ancora incontrato uno). così mi sono azzardata a chiedere: "Ma il referendum?" e lui deciso "EVET" quasi stesse già apponendo il suo timbro sulla parola che significa SI' (e sì, qui i referendum si fanno coi timbri, mica matitine e crocette). E allora, resa coraggiosa dal suo impeto, ho chiesto: "Perché?" . E la risposta è stata: " Perché non vogliamo più colpi di stato. " Allora ho soggiunto di avere letto che in realtà si sarebbero potute fare modifiche più mirate alla Costituzione, se questo fosse stato il vero intento della riforma, ad esempio l'articolo... e il tassista: "Io non lo so, ma ogni cosa che fa Tayyip –dunque chiamandolo per nome– per me va bene, io mi fido, perché prima di Tayyip tutto era caotico, non funzionava niente, ma ora che c'è Tayyip è tutto perfetto" discorsi che hanno un certo eco nella mia memoria, e che mi hanno fatto pensare alle reazioni dei berlusconiani dopo il terremoto in Abruzzo. Allora gli chiedo se anche Berlusconi gli piace. E lui annuisce con veemenza. E ritorna a tessere le lodi di questo Berlusconi d'Oriente.

E poi la frase lampante, la freccia infuocata: "Perché Tayyip è un bravo musulmano"

Ho provato a chiedere che cosa intendesse, ma forse il tassista felice si è reso conto di aver espresso un concetto tabù (il partito di Tayyip era già stato sul punto di essere sciolto dalla Corte Costituzionale che ora si propone di riformare, proprio per essere in contrasto con la laicità dello Stato) e ha provato a correggere il tiro.
Di fronte a casa il tassista felice tutto ad un tratto smette i suoi abiti cortesi e ci intima di spicciarci e toglierci dalle scatole che un cliente lo ha chiamato e lo aspetta e lui non ha tempo.

lunedì 2 agosto 2010

Danza democratica contro la lombalgia

Da giorni vado raminga trascinandomi questo bacino semi-immobilizzato dal pudore, e il conseguente dolore di schiena – direi importante – ripetendomi che l'unica cura sarebbe quella di ballare, muovendo ripetutamente e in varie direzioni le anche. Ma non avendo il budget né il tempo per permettermi una serata stravagante a Beyoğlu, ed essendo Kadıköy non adatta al mio scopo, disperavo sul da farsi danzando in camera mia per i tre minuti che ci vogliono per sentirmi una poveretta. E invece mi sbagliavo solamente, perché la danza è dappertutto, e volendo si può anche oscillare leggermente il bacino quando si cammina. Così oscillando mi sono ritrovata in una Kadıköy travolgente e musicale, la Kadıköy della domenica: decine di persone si ritrovano di fronte al molo per Beşiktaş e danzano, allacciati con le braccia, in grandi cerchi, l'horon, la danza tipica del Mar Nero. E ballano tutti insieme, uomini e donne, velate e non; e si suda tutti insieme, e gli uomini urlano, e i loro vocioni che in coro danno le istruzioni sulla danza incutono timore. Parlando con un astante osservo che questa danza è molto simile all'halay curdo, ma prima di poter pronunciare la parola “assomiglia” lui mi precede e dice “evet, farklı”, sì, è diverso. Io ci riprovo e gli dico che secondo me sono davvero simili, ma non continuo oltre. Solo che si balla in cerchio anziché in fila e con uno in testa che guida con un fazzoletto in mano.

Si balla al suono della cornamusa, alcuni ragazzi si sono isolati e suonano in riva al mare.

Languendo al tramonto il primo cerchio si sfalda, mi sposto a rimirare un cerchio più piccolo ma non meno rumoroso, seguita dall'astante, piena di buone notizie per la mia lombalgia.

domenica 20 giugno 2010

Picnic fuori porta. Vietato fotografare

Questo fine settimana abbiamo provato l'esperienza di prendere l'auto e guidare fino a che non siamo usciti fuori da Istanbul. Vomitati fuori dalla metropoli che credevamo interminabile, ci siamo trovati a salterellare su strade inusitate e malridotte a salutare le mucche acquatiche dal finestrino, per poi approdare in questo centro abitato da polizia, educatori e militari; un centro di riabilitazione per giovani e bambini in cui non ci siamo fermati per raggiungere subito i ragazzini al pic-nic organizzato sulla riva di uno stagno in una foresta protetta; uno spazio in cui i ragazzini erano controllati a vista dalle guardie. I bambini avevano numerose cicatrici sulle braccia. L'ho realizzato quando una di loro si è presa la briga di salutarci uno ad uno con due baci sulle guance e un hoş geldiniz, pantaloni bianchi maglietta bianca, capelli neri con un ciuffo maschile, un sorriso di pace e tutti quei tagli, piccoli, ordinati, uno sotto all'altro. Poi ho guardato altre braccia e ho capito perché appena arrivati la prima cosa che gli educatori ci hanno detto è stata di fare attenzione ai taglierini che ci eravamo portati per il laboratorio di creta.

Ci siamo seduti sui tavoli e abbiamo mangiato dei fagioli, dell'insalata di yogurt e aneto, del pane e dell'anguria, guardandoci attorno sull'attenti come animaletti, nel caos dei tamburelli dei canti e dei balli. Delle ragazzine Rom fieramente ballando marcavano la loro appartenenza etnica e la loro superiorità nel canto, nel ballo nel ritmo, nei suoni con le mani, nella sensualità. Le ragazzine volevano le sigarette, volevano baciare, volevano sposare. Volevano scappare nel bosco. Gli psicologi, uno biondo che pare fosse un turco-russo, una donna con i capelli perfetti castano chiaro occhi azzurri, guardavano seri dai lati del marasma; talvolta partecipavano alle danze. Una ragazzina dallo sguardo triste e gli occhi verdi e grandi ha deciso che sarei stata io la sua mascotte e mi trascinava ovunque: dal bagno al banco con le angurie alla danza. Lo stesso è successo ai miei compagni: ognuno di loro era stato adottato. Lo yabanci-pet, cosa piuttosto diffusa tra i bimbi di qui. Abbiamo iniziato il nostro laboratorio di danza ma è durato pochissimo: tre esercizi di raffinata ricercatezza non potevano competere con Kazim Koyuncu e altre popolarissime canzoni da ballare. Le ragazze hanno apprezzato, i giochi di fiducia, di contatto, di abbandono del corpo, ma poi via a sgambettare in riga e schioccare le dita.

Un'esperienza indimenticabile, importante, con la quale ho incontrato da vicino una realtà di cui sentivo solo parlare. I bambini che hanno problemi con la giustizia, ma che ritirano la pagella, ma che a differenza dei bambini di un qualunque dove, quando commenti i voti ti rispondono “Ma tu non crucciarti, che questo è un mio problema, non il tuo!”.

giovedì 6 maggio 2010

Gegen die Wand-Contro le mura di Teodosio


Lo Stato prenderà misure per venire incontro ai bisogni dell'abitazione nel contesto di un piano che tiene conto delle caratteristiche delle città e delle condizioni ambientali e porterà avanti progetti abitativi di massa.” Così recita l'articolo 57 della Costituzione Turca, citato orgogliosamente sulla versione inglese del sito del TOKİ, Toplu Konut İdaresi, l'ente governativo che si occupa della promozione dell'edilizia sociale. Secondo quanto riferisce Rroma, sul proprio sito dedicato alla cultura e alla vita dei Rom di tutto il mondo, il TOKİ ha un ruolo predominante in quello che sta accadendo a quartieri come Sulukule (Fatih), abitati da un millennio dalla popolazione Rom.

A Sulukule io e Jahela siamo state ieri a cercare di capire che cosa significa materialmente spostare gli abitanti da un quartiere all'altro. Meglio di tutto parlano le foto (v. galleria fotografica). Ma anche le persone a cui abbiamo chiesto informazioni su come arrivare là: il gestore di un giardino del tè che dice in una risata amara che sì, Sulukule era dietro alla moschea, ma adesso sedetevi e bevete un çay, povere care.

Ma noi proseguiamo e troviamo una guida, che ci scorta fra quello che rimane di Sulukule: tanto poco da rendere difficile immaginare come poteva essere. Kayhan enumera ad uno ad uno: qui c'era il bar, qui la piazza, là la sala da ballo (Sulukule era famosa per questo). Ma io non vedo niente. Solo ruderi eretti qua e là in mezzo al niente seminascosti dalle recinzioni di un immenso cantiere. Sembra di assistere ad un funerale, al funerale di una vita collettiva, non di un solo individuo. Ho davvero il groppo in gola.

La distruzione delle abitazioni è cominciata due anni fa, e l'intento era di finire in tempo per il 2010, anno di Istanbul capitale europea della cultura. Il piano edilizio per quest'area prevede la costruzione di nuove case, probabilmente inaccessibili per i vecchi abitanti del quartiere. Che riceveranno 500 Lire (250 €) per ogni metro quadrato abbattuto. Soldi con i quali forse potranno permettersi un alloggio nelle penosissime periferie della metropoli, forse a una quarantina di km da qui. Sempre secondo quanto riporta Rroma, questi soldi non verranno pagati tutti in un'unica soluzione. E come potrebbe, la Turchia, con un bilancio tanto malandato. A coloro che adesso non hanno più la casa, a coloro che le ruspe hanno portato via l'attività, non rimane altro che sperare che si ricordino di pagare fino all'ultimo kuruş. Questa suggestiva zona della città, a ridosso delle mura di Teodosio, non sarà più sporca e dedita alla prostituzione, dice Kayhan, che è un agente immobiliare ed è molto ottimista su quella che chiama la riqualificazione di Sulukule.

Pare che adesso la distruzione della zona abbia subito un arresto dovuto al ritrovamento di importanti reperti archeologici. Gli operai che abbiamo incontrato lì dicono che si tratta di una bugia e che qui si continua. Vedremo, se laddove la protesta e l'indignazione civile non hanno potuto, potranno vecchi oggetti rovinati dal tempo, pitali e anfore.

Il sito del TOKİ pubblica in inglese i discorsi che il premier Recep Tayyıp Erdoğan ha rilasciato sulle politiche abitative. In uno di questi si vanta di come la Turchia sia stata trasformata in un grande sito in costruzione, di come i progetti del TOKİ permetteranno, attraverso emolumenti vantaggiosi, alle persone meno abbienti di mescolarsi al tessuto cittadino, accedere allo stato sociale, passare dalla periferia al centro.

sabato 24 aprile 2010

Infanzia sovrana

Ieri in Turchia correva la Festa Nazionale del Bambino. A Istanbul viene celebrata con una grande sfilata in Istiklal Caddesi, e diverse manifestazioni hanno luogo in tutte le scuole. Nel pomeriggio ero seduta sulla scalinata dell'associazione per cui lavoro tentando di strimpellare una chitarra, quando tre chiassose ragazzine sui 13 anni passano lì davanti al ritorno da scuola. Una delle tre interrompe il chiacchiericcio forsennato e intima alle altre di fermarsi perché c'è una che suona la chitarra. Io replico che in realtà non so suonare, ma pare che a loro vada bene così. Indossano un gonnellino bianco a pieghe su collant bianche e scarpe bianche, una maglietta un po' meno uniforme e una casacchina azzurra appesa al dito e lasciata cadere dietro le spalle. Chiedo loro se è la divisa della scuola. Loro rispondono che è quella speciale per la festa del bambino. Mi dicono che l'hanno festeggiata a scuola partecipando ad uno spettacolo e suonando. Adesso sono stanche e festanti si dirigono verso casa, portandosi dietro il cicaleccio tipico di quell'età.

La giornata del bambino, che più precisamente si chiama la Festa della Sovranità Nazionale e del Bambino (Ulusal Egemenlik ve Çocuk Bayramı), è stata voluta dal padre della nazione Mustafa Kemal, per commemorare la fondazione della grande assemblea nazionale avvenuta lo stesso 23 aprile del 1921. La festa è stata poi in seguito dedicata al bambino. L'apoteosi della nazione giunge a livelli altissimi, in accordo con la tendenza tutta turca a fare le cose in grande. Ogni anno alcuni bambini vengono selezionati e sostituiscono le alte cariche dello stato nelle loro funzioni. E non si tratta di una sostituzione solo nominale, in quanto i figli della nazione hanno il potere di promulgare leggi. Naturalmente non sono eletti dal popolo e provengono dagli alti ranghi della società.

Tutto questo mi fa venire in mente i carnevali medievali in cui venivano capovolti i ruoli sociali per vivere un giorno alla rovescia: i ricchi facevano i poveri e i poveri governavano la città. Ma certo, non è la stessa cosa: qui c'è di mezzo l'orgoglio di una nazione.