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mercoledì 25 dicembre 2013

Sospensione


Questo post è uscito già qualche giorno fa su Q Code Mag, che ospiterà i miei scritti a intervalli di una decina di giorni. Vi invito ad esplorare altri interessantissimi contributi fornendovi il link: www.qcodemag.it. Kız Reporter è nella sezione dedicata ai blog.

Mulime si vergogna un po' ma ci fa entrare volentieri; si scusa sorridendo e dicendo: “È una casa di poveri”. Mesut, che fa il guardiano per la compagnia edile di questo cantiere, dice sarcasticamente che questi hanno vinto la lotteria. Da poveri e ignoranti abitanti semi-abusivi di gecekondu si ritrovano proprietari di appartamenti lussuosissimi in una di quelle che stanno per diventare le zone più pregiate della città. Alcuni ricevono anche più di un appartamento in funzione della grandezza del terreno e della famiglia.
Orhan però venderà gli appartamenti che gli spettano e se ne andrà a vivere ad Adapazarı, fuori Istanbul, dove vivono i parenti della moglie, Şefika. Là c'è la casa che assomiglia a quella in cui immagina di poter vivere: unico piano (terreno), un giardino con alberi da frutta, dove si può bere il tè e ricevere gli ospiti. Dove può tenere i suoi canarini (ne ha due nel soggiorno) e anche un cane. Nella nuova Fikirtepe non potrebbe mai vivere. La moglie è velata e loro sono molto religiosi. Come fanno ad abitare in un posto dove la gente va in piscina mezza nuda e si vanno a far fare i massaggi. “Ci vergogneremmo. Inoltre da qui alla fine della strada saluto e scambio due parole con almeno cinquanta persone. Con questi appartamenti, ognuno il suo, con chi parlo? Io ho bisogno di una casa che apro la porta e sono subito in strada, vicino alla gente.”
Orhan ha le idee così chiare e questo mi aiuta molto. In molte delle persone che intervisto c'è quella sospensione, quell'incapacità di raccontare di sé, della propria casa e del proprio quartiere come era prima, e di immaginare quello che sarà dopo. Mulime, dalla sua casa che si affaccia sul vuoto creato dalle ruspe, in riga con le altre case a cui tocca la prossima demolizione, non sa nemmeno di preciso quando inizieranno i lavori, né dove andrà temporaneamente in affitto. Ha circa sessantacinque-sessant'anni e vive con il marito Hasan.
Il padre di Orhan ha novant'anni, non capisce bene, ma conosce l'espressione kentsel dönüşüm (trasformazione urbana), usata dal figlio per spiegare cosa ci facciamo in casa sua. La casa l'ha costruita lui, che ha partecipato alla “guerra tedesca” e di cui nel salotto c'è una foto di quando aveva ventidue anni con il fez e i calzari e gli şalvar.
Me lo immagino nei diversi spostamenti: da casa sua a chissà dove in affitto per due o tre anni, poi nella lussuosa casa del suo quartiere trasfigurato in attesa di essere venduta, poi finalmente ad Adapazarı, nel suo grande giardino a bere tè e sgridare il cane. Me lo immagino chiedere lentamente con un filo di voce, come aveva fatto di fronte a me e a un amico fotografo di passaggio a Fikirtepe, seduti di fronte a lui con i nostri apparecchi neri in mano: “Ne için? Per che cosa?”
Invece Husein proprio non capisce la mia domanda quando gli chiedo: “Ma non sarà un po' difficile per le persone anziane?” Riformulo tre volte pensando che sbaglio qualcosa con la lingua, poi mi rendo conto che non riesce proprio a capire quale possa essere il problema. Eppure racconta che, essendo lui stesso costruttore ed essendosi costruito da sé la propria casa, non è riuscito a guardare mentre la demolivano, perché sarebbe stato troppo doloroso.
Lui non vuole guardare indietro, e nemmeno sa bene cosa aspettarsi. Non riesce a descrivermi il suo quartiere, non capisce le mie domande. Ma ha fede in Dio e sembra sicuro che ciò che Dio vorrà dargli lo soddisferà.


domenica 8 dicembre 2013

Le demolizioni

Il link al mio post sul blog del Laboratorio di Antropologia Visuale dell'Università di Milano Bicocca.
http://lamaetnografia.blogspot.it/2013/12/primi-girati-da-fikirtepe.html
(contiene video delle demolizioni più interviste)

venerdì 27 luglio 2012

Il confine della casa

Come spesso accade quando andiamo in Germania, siamo andati a trovare la signora C. 
La signora C. vive a Nordhorn, una cittadina al confine con i Paesi Bassi. Quando andiamo da lei, per pranzo ci cucina degli involtini di carne con i cetriolini, crauti rossi e patate e il caffè con la torta nel pomeriggio, prima di salutarla e, su suo consiglio, attraversare il confine per far benzina perché costa meno. 
Nel quartiere delle vie con i nomi di fiori, aveva una bella casettina color cioccolato a due piani e il tetto spiovente; con le finestre ornate con tendine bianche dal bordo ricamato, vasi di fiori sui davanzali bassi e ovunque statuine di gatti. Fino a poco tempo fa sui morbidi tappeti persiani del salotto e della sala da pranzo si aggirava la vecchia gatta J. Sul retro aveva un giardino che la signora C. curava ancora nonostante i suoi novant'anni. In questo giardino riposa anche il cane J. 
Originaria della Slesia, allora tedesca, la signora C. si è vista portare via la casa costruita da suo padre, quando la regione venne ceduta alla Polonia, al termine della seconda guerra. Emigrando a ovest, perse tutti e quattro i suoi figli, per stenti e fame. A Nordhorn si è risposata e ha avuto altri figli. Oggi ha deciso di vendere la sua casa divenuta troppo grande e di trasferirsi in una residenza per anziani, dove paga l'affitto per un appartamentino nascosto dietro una porta anonima che sembra quella di una stanza d'ospedale.
Si accede attraverso una porta scorrevole che dà su una grande sala con un banco informazioni e diversi tavolini con sedie. Lungo un corridoio si leggono le insegne delle diverse stanze che si susseguono: fisioterapia, farmacia.. Un altro corridoio conduce agli appartamenti. Si cammina morbidamente su una moquette rosa pesco. Si sente odore di pipì. Diverse ospiti della struttura gironzolano appoggiate a girelli e deambulatori e si salutano da sotto chiome bianchissime. Troviamo la porta della signora C. e bussiamo. Ci apre e, sebbene siamo in ritardo, si fa radiosa in volto e ci abbraccia calorosamente.
Niente involtino, oggi: ci porta al ristorante. Entrambi speriamo in una kneipe  proprio tedesca. Non è che non possa cucinare: l'appartamentino è composto da un ingresso, che ha lo stesso tappetino di quello che c'era in casa sua, dove togliamo le scarpe intrise di pioggia; un salotto con un angolo cucina con due soli fornelli, un frigo, un lavandino e diversi scaffali che ospitano tutti gli elettrodomestici di una cucina tedesca. C'è un tavolino quadrato con tre sedie, poi un comodo divano con tavolino e due poltrone. Più oltre c'è la cameretta: letto singolo ortopedico con leve e marchingegni, uno specchio, una cassettiera, un armadio. Le foto di figli e nipoti sono ancora ovunque. Il giardino si è trasformato in una fila di vasi sul davanzale. Ma c'è una palma che non riesce a prendere vigore e si affloscia gialla sulla moquette. "Forse non ha abbastanza luce" diagnostica la signora C. Dalla finestra si vede il giardino interno della residenza, che la pioggia rende verdissimo. Dopo un po' ci si dimentica di essere altrove, e ci si ripensa di nuovo a casa della signora C. Ma quando si apre la porta di casa, l'incantesimo finisce, e ci si imbatte di nuovo nella processione su rotelle di bianche chiome. Anche la signora C. ha una chioma bianca, e occhi azzurrissimi. Le diventano vispi e ci invita ad uscire dal retro, passando davanti all'ufficio della polizia.
Il ristorante è chiuso, mangiamo in un fast food. Poi saliamo in macchina e la signora C. ci chiede di guidare fino davanti la sua ex-casa. Piove. E' ancora tutto uguale. Si vuole assicurare che anche il patio di ingresso non sia stato modificato: guido un po' più avanti. Non vuole scendere. Ci allontaniamo. Attraversiamo il confine passando davanti ad un negozio che espone una promozione gigante: parazetamol 0,99€! Andiamo al supermercato del giardinaggio di Denekamp, dove le cassiere parlano un perfetto tedesco. La signora C. acquista un'enorme e rigogliosa palma, con un bel vaso rosso. Quando torniamo a casa, questo prende il posto del suo predecessore, in cima ad uno sgabello.

giovedì 6 maggio 2010

Gegen die Wand-Contro le mura di Teodosio


Lo Stato prenderà misure per venire incontro ai bisogni dell'abitazione nel contesto di un piano che tiene conto delle caratteristiche delle città e delle condizioni ambientali e porterà avanti progetti abitativi di massa.” Così recita l'articolo 57 della Costituzione Turca, citato orgogliosamente sulla versione inglese del sito del TOKİ, Toplu Konut İdaresi, l'ente governativo che si occupa della promozione dell'edilizia sociale. Secondo quanto riferisce Rroma, sul proprio sito dedicato alla cultura e alla vita dei Rom di tutto il mondo, il TOKİ ha un ruolo predominante in quello che sta accadendo a quartieri come Sulukule (Fatih), abitati da un millennio dalla popolazione Rom.

A Sulukule io e Jahela siamo state ieri a cercare di capire che cosa significa materialmente spostare gli abitanti da un quartiere all'altro. Meglio di tutto parlano le foto (v. galleria fotografica). Ma anche le persone a cui abbiamo chiesto informazioni su come arrivare là: il gestore di un giardino del tè che dice in una risata amara che sì, Sulukule era dietro alla moschea, ma adesso sedetevi e bevete un çay, povere care.

Ma noi proseguiamo e troviamo una guida, che ci scorta fra quello che rimane di Sulukule: tanto poco da rendere difficile immaginare come poteva essere. Kayhan enumera ad uno ad uno: qui c'era il bar, qui la piazza, là la sala da ballo (Sulukule era famosa per questo). Ma io non vedo niente. Solo ruderi eretti qua e là in mezzo al niente seminascosti dalle recinzioni di un immenso cantiere. Sembra di assistere ad un funerale, al funerale di una vita collettiva, non di un solo individuo. Ho davvero il groppo in gola.

La distruzione delle abitazioni è cominciata due anni fa, e l'intento era di finire in tempo per il 2010, anno di Istanbul capitale europea della cultura. Il piano edilizio per quest'area prevede la costruzione di nuove case, probabilmente inaccessibili per i vecchi abitanti del quartiere. Che riceveranno 500 Lire (250 €) per ogni metro quadrato abbattuto. Soldi con i quali forse potranno permettersi un alloggio nelle penosissime periferie della metropoli, forse a una quarantina di km da qui. Sempre secondo quanto riporta Rroma, questi soldi non verranno pagati tutti in un'unica soluzione. E come potrebbe, la Turchia, con un bilancio tanto malandato. A coloro che adesso non hanno più la casa, a coloro che le ruspe hanno portato via l'attività, non rimane altro che sperare che si ricordino di pagare fino all'ultimo kuruş. Questa suggestiva zona della città, a ridosso delle mura di Teodosio, non sarà più sporca e dedita alla prostituzione, dice Kayhan, che è un agente immobiliare ed è molto ottimista su quella che chiama la riqualificazione di Sulukule.

Pare che adesso la distruzione della zona abbia subito un arresto dovuto al ritrovamento di importanti reperti archeologici. Gli operai che abbiamo incontrato lì dicono che si tratta di una bugia e che qui si continua. Vedremo, se laddove la protesta e l'indignazione civile non hanno potuto, potranno vecchi oggetti rovinati dal tempo, pitali e anfore.

Il sito del TOKİ pubblica in inglese i discorsi che il premier Recep Tayyıp Erdoğan ha rilasciato sulle politiche abitative. In uno di questi si vanta di come la Turchia sia stata trasformata in un grande sito in costruzione, di come i progetti del TOKİ permetteranno, attraverso emolumenti vantaggiosi, alle persone meno abbienti di mescolarsi al tessuto cittadino, accedere allo stato sociale, passare dalla periferia al centro.