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sabato 7 gennaio 2012

Il patto di Davutoğlu con gli Sciiti

Il ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu è rientrato ieri dalla sua visita al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, presso cui si è trattenuto due giorni.
Esito dell'incontro è l'impegno a lavorare insieme contro le minacce che provengono da sempre più violente opposizioni fra gruppi religiosi, non solo in Iran, ma in tutti quei territori dove l'Iran espande la sua influenza: Siria, Iraq, Libano. Quella che nel corso dell'incontro fra i due politici è stata definita la "Mezzaluna sciita". Secondo Davutoğlu essa potrebbe trasformarsi da minaccia, come appare allo stato attuale, perché acuisce i conflitti interni, a risorsa vantaggiosa, ma solo se Turchia e Iran si impegneranno congiuntamente in questa direzione.
La Turchia infatti è stata perfino indicata dall'omologo iraniano di Davutoğlu Ali Akbar Salehi come luogo ideale per riprendere i negoziati sul nucleare con l'Occidente.
Ma cosa intende il ministro degli Esteri turco per "collaborazione" con gli Sciiti? Forse una dichiarazione di intenti è rappresentata dall'incontro con il leader iracheno sciita Moqtada al-Sadr: d'accordo i due su una politica di amministrazione interna che sia rappresentativa di tutte le forze etniche e politiche presenti nel paese, in modo da evitare l'inasprirsi dei conflitti.
Naturalmente, oltre alle esplosioni a Baghdad di pochi giorni fa (che sembrano essere causate proprio da questo rinnovato conflitto fra sciiti e sunniti nel Paese), parlano di come "sistemare" le popolazioni curde irachene pur continuando a garantirsi l'accesso alle risorse petrolifere dell'area. Non sa Davutoğlu che proprio oggi le madri di Uludere piangono i loro figli? Non proprio un'immagine di pace e armonia interna, non c'è che dire.

venerdì 6 gennaio 2012

Arrestato İlker Başbuğ, ex capo delle forze armate

  E' stato arrestato questa mattina alle 9 il generale İlker  Başbuğ,  fino all'anno scorso capo dell'esercito turco – che in Turchia non coincide con il ministro della Difesa – accusato di complottare contro il governo Erdoğan. 
L'inchiesta che ha portato il gen. Başbuğ agli arresti rientra nell'ambito della cosiddetta Ergenekon, örgüt, "l'organizzazione" ultranazionalista che da sempre si oppone al governo islamico-conservatore dell'Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo). Secondo quanto riporta Taraf, la svolta nell'inchiesta è avvenuta nel momento in cui due indagini parallele si sono unite: una riguardava accuse di propaganda nera che provenivano da siti internet presumibilmente gestiti dall'esercito, la cosiddetta “İnternet Andıcı“, mentre l'altra tendeva a sgominare i responsabili del tentativo di togliere il potere ad un governo eletto visto come minaccia reazionaria. 
Dopo sette ore di interrogatorio con la stampa nazionale accampata fuori, Başbuğ è stato infine accusato di dirigere un'organizzazione sovversiva e di tentativo di colpo di stato.
Sempre dalle pagine di Taraf, Ahmet Altan si interroga sul motivo per cui tanta scrupolosità nell' inseguire la trasparenza, in vista di una svolta democratica nella gestione della politica turca, non sia perseguita in ogni affare oscuro che avviene nel Paese, come in merito alla recente strage di curdi a Uludere, al confine con l'Iraq, dove 35 ragazzi, niente più che piccoli contrabbandieri, sono stati uccisi da un raid dell'esercito turco. Finora di ufficiale c'è solo che il bombardamento è seguito ad un ordine dell'intelligence. Ma il Mit, il servizio segreto turco, ha negato di aver dato l'ordine. Allora chi ha dato l'ordine, perché? Tutto scompare tra le maglie di quello che viene definito il potere profondo.

martedì 14 giugno 2011

Lo sguardo gentile del Parlamento

Le tanto attese elezioni sono finalmente passate. La tensione nelle strade, dopo una domenica elettorale semideserta di autobus vuoti in attesa alle fermate, è scesa. Niente più pulmini, niente più musica a tutto volume né raduni di partiti estemporanei di cui finora ignoravo l'esistenza, come questo dell'Hepar a Kadıköy. I –per fortuna– pochi presenti recitavano in coro il discorso di Atatürk alla gioventù, tenendo entrambe le braccia alzate a mo' di saluto, e sembravano davvero un po' invasati.
Adesso ci sono le buone notizie. Vero che ha vinto l'Akp e se fossimo in Italia non mi augurerei la vittoria di una simile forza politica. Ma qui siamo in Turchia, e devo pensare con un altro cervello. La mancanza di scrupoli negli investimenti e nei progetti edilizi che caratterizza questo partito mi fa paura, come ho già scritto altrove. Ma forse questa mancanza di scrupoli, queste tigri anatoliche che assomigliano di più all'Europa di tanti altri sbandieratori, in virtù dell'interesse al guadagno forse possono davvero migliorare questo Paese, loro malgrado. Non sarà certo un cambiamento profondo e gravido di vantaggi per la democrazia, ma per il momento è quanto di meglio si possa augurare al Paese. Nel suo discorso a scrutini conclusi, Erdoğan si è rivolto alla nazione parlando ai fratelli Curdi, Aleviti, Laz, Sunniti, Circassi. Ha parlato di diritti delle minoranze. I curdi dal canto loro hanno festeggiato la loro piccola grande vittoria (36 candidati entreranno in Parlamento) e la disfatta del partito Repubblicano di Kılıçdaroğlu. Sui giornali sensibili ai diritti delle minoranze è stato molto apprezzato il discorso del capo del Governo: "Magari tutti parlassero dal balcone!". I discorsi di Erdoğan dal balcone sono ormai un appuntamento fisso: per la terza volta, dopo la sua vittoria, è uscito sul famigerato balcone della sede del suo partito e ha parlato alla nazione. Il compromesso con il Partito della Giustizia e dello Sviluppo  è visto come possibile, diversamente con il Chp, benché il suo segretario generale sia  curdo e alevita.

Ma le buone notizie non sono finite qui: ben 78 donne hanno conquistato una poltrona in Parlamento. Tra di esse, ci tengo a menzionare Leyla Zana, finora detenuta dopo che 17 anni fa, dopo la sua elezione a deputata, aveva pronunciato una frase in curdo durante il suo giuramento. Il suo giuramento è pertanto atteso con curiosità. Il Bdp, partito democratico della pace, filo-curdo, ha sostenuto l'elezione della candidata indipendente Sebahat Tuncel, eletta a Istanbul, nella foto qui sotto il giorno prima delle elezioni in una marcia a kadikoy.



domenica 10 aprile 2011

I candidati caldi del Bdp

Il Partito Democratico della Pace, Bdp, il partito della lotta del popolo curdo per i diritti, ha presentato la sua lista di candidati per le prossime elezioni parlamentari del 12 giugno. Fra di essi sei persone sotto processo perché accusati di appartenere al Kck, la confederazione democratica curda voluta da Abdullah Öcalan che il governo turco teme almeno tanto quanto Ergenekon, benché le due realtà non possano essere più lontane. Kck è il frutto degli studi a cui il leader curdo si è dedicato durante i suoi anni in prigione, che non vanno disgiunti dagli inviti rivolti al Pkk di agire in modo democratico e nella ricerca di un dialogo con il governo.

Fra i candidati si distinguono personalità davvero potenti, dal punto di vista emotivo e per la attualità degli eventi ad essi legati. Basta fare un esempio, per ritrovarne il filo già in questo blog: Ahmet Türk, aggredito selvaggiamente esattamente un anno fa, candidato a Mardin. O Leyla Zana, in prigione per dieci anni per aver pronunciato una frase in curdo in parlamento, che è in lista a Diyarbakir.

Il vice primo ministro turco Cemil Çiçek ha dichiarato in tv che la legge non vieta di candidare persone implicate in un processo. E' una scelta del partito, che poi quello che conta è la volontà popolare, ha detto Çiçek.

Per ora i nomi sono 61, tra cui 13 donne, per 39 province.

mercoledì 14 aprile 2010

Barış hemen şimdi!

Cosa ci faccio seduta per terra in piazza Taksim a scandire slogan per la causa curda?



Lunedì Ahmet Türk è stato vittima di un attacco fascista. Allora eccomi con l'aiuto del dizionario a decifrare i motti. E a ripeterli a mia volta. Donne voluminose sollevano un braccio e distendono indice e medio e danno del fascista allo Stato, all'AKP e ai lupi grigi. Urlano “indipendenza”. Stefania è di fianco a me e dice: “Guardare queste donne qui in questo momento e ripensare a quello che possono aver passato mi mette i brividi”. Stefania ha partecipato ad un'inchiesta sociologica in giro per le famiglie curde del quartiere di Kayışdağı, e ha ascoltato troppe volte i loro racconti di arresti, soprusi, torture e uccisioni. “In ogni famiglia c'è un dramma.”

Gli uomini orgogliosi che rigirano il tasbih oggi chiedono le dimissioni del governatore di Samsun.

Perché non ha fatto niente per evitare che un gruppo di esaltati riuscisse a raggiungere con un pugno il naso di Ahmet Türk rompendoglielo. La polizia stava a guardare.

La gente è in piazza e chiede la pace, subito! E intanto, una simile protesta, in un'altra città, ha portato alla morte un ragazzino di 14 anni. L'immagine della madre che tiene in una mano le scarpe del figlio sembra aver colpito particolarmente i quotidiani che riportano tutti la stessa foto.

Ad un certo punto dalla moschea adiacente la piazza, il muezzin, che fino a pochi attimi prima sedeva quieto accanto alla finestrella ad osservare la folla, intona il suo richiamo alla preghiera. Allora i manifestanti si siedono, in silenzio, e aspettano che finisca. Finalmente riesco a guardare la dimensione dell'assembramento, per un attimo, prima che qualcuno mi tiri per un braccio e mi ordini di sedermi. Poi l'idea dell'adunata sediziosa pare piacere e il servizio d'ordine gira fa i manifestanti invitandoli a mantenere seduti. Di fronte alla folla ci sono una quindicina di cameramen e fotografi. Dietro di loro i poliziotti. Molti. E due panzer. Uno di loro ad un certo punto accende il motore e si muove verso la folla. Poi si ferma e rimane lì, a sporcare l'aria, col motore acceso. “Siamo tutti curdi, siamo tutti Ahmet Türk”, rispondono loro. Incontriamo un amico, Yakup, appena uscito dall'università. Si siede con noi e ci aiuta a capire gli slogan. Gli chiediamo: “Come stai?” e lui serissimo: “Bene, ma arrabbiato.”

Nel Dicembre dello scorso anno, a Bulanık, nella regione del lago di Van, due uomini furono uccisi dai colpi d'arma da fuoco di un negoziante esasperato dalla folla in protesta per la chiusura del DPT Demokratik Toplum Partisi, partito filo-curdo accusato di avere contatti con il PKK.

In questi giorni si sta svolgendo a Samsun, sul mar Nero, il processo mosso nei suoi confronti. Ahmet Türk, leader del disciolto partito, si trovava lì come osservatore e aveva appena rilasciato una dichiarazione alla stampa.