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venerdì 27 luglio 2012

Il confine della casa

Come spesso accade quando andiamo in Germania, siamo andati a trovare la signora C. 
La signora C. vive a Nordhorn, una cittadina al confine con i Paesi Bassi. Quando andiamo da lei, per pranzo ci cucina degli involtini di carne con i cetriolini, crauti rossi e patate e il caffè con la torta nel pomeriggio, prima di salutarla e, su suo consiglio, attraversare il confine per far benzina perché costa meno. 
Nel quartiere delle vie con i nomi di fiori, aveva una bella casettina color cioccolato a due piani e il tetto spiovente; con le finestre ornate con tendine bianche dal bordo ricamato, vasi di fiori sui davanzali bassi e ovunque statuine di gatti. Fino a poco tempo fa sui morbidi tappeti persiani del salotto e della sala da pranzo si aggirava la vecchia gatta J. Sul retro aveva un giardino che la signora C. curava ancora nonostante i suoi novant'anni. In questo giardino riposa anche il cane J. 
Originaria della Slesia, allora tedesca, la signora C. si è vista portare via la casa costruita da suo padre, quando la regione venne ceduta alla Polonia, al termine della seconda guerra. Emigrando a ovest, perse tutti e quattro i suoi figli, per stenti e fame. A Nordhorn si è risposata e ha avuto altri figli. Oggi ha deciso di vendere la sua casa divenuta troppo grande e di trasferirsi in una residenza per anziani, dove paga l'affitto per un appartamentino nascosto dietro una porta anonima che sembra quella di una stanza d'ospedale.
Si accede attraverso una porta scorrevole che dà su una grande sala con un banco informazioni e diversi tavolini con sedie. Lungo un corridoio si leggono le insegne delle diverse stanze che si susseguono: fisioterapia, farmacia.. Un altro corridoio conduce agli appartamenti. Si cammina morbidamente su una moquette rosa pesco. Si sente odore di pipì. Diverse ospiti della struttura gironzolano appoggiate a girelli e deambulatori e si salutano da sotto chiome bianchissime. Troviamo la porta della signora C. e bussiamo. Ci apre e, sebbene siamo in ritardo, si fa radiosa in volto e ci abbraccia calorosamente.
Niente involtino, oggi: ci porta al ristorante. Entrambi speriamo in una kneipe  proprio tedesca. Non è che non possa cucinare: l'appartamentino è composto da un ingresso, che ha lo stesso tappetino di quello che c'era in casa sua, dove togliamo le scarpe intrise di pioggia; un salotto con un angolo cucina con due soli fornelli, un frigo, un lavandino e diversi scaffali che ospitano tutti gli elettrodomestici di una cucina tedesca. C'è un tavolino quadrato con tre sedie, poi un comodo divano con tavolino e due poltrone. Più oltre c'è la cameretta: letto singolo ortopedico con leve e marchingegni, uno specchio, una cassettiera, un armadio. Le foto di figli e nipoti sono ancora ovunque. Il giardino si è trasformato in una fila di vasi sul davanzale. Ma c'è una palma che non riesce a prendere vigore e si affloscia gialla sulla moquette. "Forse non ha abbastanza luce" diagnostica la signora C. Dalla finestra si vede il giardino interno della residenza, che la pioggia rende verdissimo. Dopo un po' ci si dimentica di essere altrove, e ci si ripensa di nuovo a casa della signora C. Ma quando si apre la porta di casa, l'incantesimo finisce, e ci si imbatte di nuovo nella processione su rotelle di bianche chiome. Anche la signora C. ha una chioma bianca, e occhi azzurrissimi. Le diventano vispi e ci invita ad uscire dal retro, passando davanti all'ufficio della polizia.
Il ristorante è chiuso, mangiamo in un fast food. Poi saliamo in macchina e la signora C. ci chiede di guidare fino davanti la sua ex-casa. Piove. E' ancora tutto uguale. Si vuole assicurare che anche il patio di ingresso non sia stato modificato: guido un po' più avanti. Non vuole scendere. Ci allontaniamo. Attraversiamo il confine passando davanti ad un negozio che espone una promozione gigante: parazetamol 0,99€! Andiamo al supermercato del giardinaggio di Denekamp, dove le cassiere parlano un perfetto tedesco. La signora C. acquista un'enorme e rigogliosa palma, con un bel vaso rosso. Quando torniamo a casa, questo prende il posto del suo predecessore, in cima ad uno sgabello.

martedì 21 settembre 2010

Dove si fa il çay

Eccoci finalmente al confine orientale della Turchia. Fra pochi chilometri inizia la Georgia, e precisamente l'Adjaristan, regione autonoma a maggioranza musulmana, con capitale Batum.
Siamo ad Arhavi, sul Mar Nero, uno centri della cultura Laz. A chiunque tu chieda, ti risponde di essere Laz. È incredibile la gioia e la facilitá con cui si inizia a chiacchierare; in un attimo siamo trasportati da un intera famiglia con il loro furgone in cima al loro villaggio, sulle montagne dove si coltiva il té.
Lassú incontriamo altri proprietari, come il vecchio dagli indescrivibili baffetti seduto davanti al suo deposito del té  aspettando che ''i russi'' tornino con il raccolto della giornata.
Qui tutti li chiamano russi, o addirittura sovietici, ma in realtá sono georgiani, e vengono da diverse cittá, da Batum, o addirittura da Tbilisi, attirati dal buon guadagno: 50 TL al giorno.
Sono tutti accovacciati in fila dal mattino presto in cittá e aspettano che qualcuno passi a raccoglierli e portarseli su in montagna, nelle piantagioni. Rimangono qui tre mesi, dormono in hotel. Non parlano turco, o molto poco. Il piú anziano di loro parla bene e ci racconta un po'. Uno di loro ci insegue e ci chiede quanto vogliamo per portarlo in Italia.
Qui c'é una grande serenitá, tutti si salutano cortesemente per la strada, anche salendo e scendendo dalla montagna. Si lamentano un po' dell'apertura dei confini con la Russia, e ne parlano come se si trattasse di un avvenimento recente. Da quel momento sono arrivate la prostituzione e i suoi mali, dicono. Eppure qui l'unica presenza straniera siamo noi e questi lavoratori. Certo la situazione é diversa in cittá come Hopa o Trabzon.
Vorremmo visitare la Çaykur, una delle fabbriche del té. Ma gli addetti alla sicurezza ci dicono che é vietato, come lo è per i georgiani lavorarci dentro. Per loro c'é solo la piantagione.