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venerdì 25 novembre 2011

Un altro genere

Quest'anno ho celebrato anch'io il T-Dor, Transgender Day of Remembrance. In viale Zara 100, sede del consiglio di zona, dove è stata istituita una piccola ma intensa mostra fotografica, sfacciata e toccante al punto giusto. Perché qui? La Zona Due è densamente abitata da persone transgender e probabilmente a molti di noi che vi abitiamo capita di incontrarli al supermercato o dal macellaio, e se non siamo pervasi da una sottile disapprovazione, possiamo provare ad immaginarci le loro vite, come vivono la quotidianità di una scelta tanto potente. Settimane fa vidi un documentario sui transgender ad Haiti, così disinvolti nel dichiarare che erano gli spiriti del vodoo che avevano deciso così per loro, decretandone un destino da un lato di privilegio, per l'accesso diretto al mondo degli spiriti, da un lato di pena, per l'emarginazione sociale e la sofferenza del corpo. Non è tanto dissimile da quello che accade dalle nostre parti, dove ad una chiara idea e fiducia nella propria identità sessuale e di genere, si accompagna l'esclusione dal mondo del lavoro e la vita sotterranea e oscura della prostituzione. Il lavoro è forse il terreno comune che fa da ponte, o meglio la sua inaccessibilità, che è trasversale a parecchie fasce della società (tra cui quella della donna-quasi-trentenne-conunesperienzatroppovariegata) e che crea solidarietà. Nel dibattito di ieri sera, tra gli appassionati relatori c'era Massimo Mariotti, che alla Cgil si occupa di diritti dei GLBT. Mariotti ravvisa non un'aumentata tolleranza, semmai una più intensa indifferenza, figlia del menefreghismo e dell'individualismo dell'Italia di oggi. Altro intervento interessante è stato quello di Maurizio Bini, andrologo al Niguarda, oltre che esperto di sessuologia e genere ed etnicità – e di tante altre cose– che ravvisa nella connotazione machista della nostra cultura la causa dell'incremento del numero di trans in Italia. Sarebbe proprio la forma repressiva di sessualità tipica del nostro Paese a fornire la condizione ottimale per il transessualismo. Perché diventa difficile riconoscersi nell'uno o nell'altro genere, e nei ruoli che il sistema affida loro. Una curiosità: chi sapeva che a Teheran il transessuale che si fa operare è più ben accetto rispetto all'omosessuale, che invece viene condannato a morte? La ragione è che il trans, rientrando in uno dei due generi, non mette in discussione il sistema binario dei sessi.

giovedì 3 novembre 2011

Il corpo che prega

foto tratta da questo reportage di RT
Entriamo a spettacolo già iniziato nel silenzio di due corpi che si muovono. Due danzatori vestiti a lutto, con scialle, cappellino nero con improbabili fiori, gonna sotto alle ginocchia e borsetta, hanno depositato ad un lato della scena dei moccoli rossi e adesso stanno pasticciando con una bottiglia di grappa che contiene qualcosa che sembra vino. Serata di Halloween, Milano, 21:20. Dopo un precipitoso viaggio all'altro capo della città fra ragazzini con lunghi capelli viola, intriganti maghe incappucciate, veli, pizzi neri e cappelli e zucche, raggiungiamo il teatro Pim Off per lo spettacolo Inri, presentato come un discorso coreutico sul culto cattolico. Tempo fa avevo riflettuto sull'uso del corpo nella preghiera, in particolare di quanto fosse presente il corpo nel namaz islamico, con quella successione di alzate, inginocchiamenti e chinamenti senza distinzione tra preghiera femminile e preghiera maschile. A dispetto di quello che si dice sull'Islam e sull'occultamento del corpo. Se poi si vuole ampliare il discorso si può pensare alla centralità liturgica della danza nel Sufismo. L'impiego dell'intera persona nell'espletamento del culto non è cosa così comune nelle altre religioni monoteistiche, anche se mentre scrivo mi viene in mente l'uso di compiere i pellegrinaggi in ginocchio o in altre scomode posizioni che invece di allontanare la componente per così dire materica, la impongono all'attenzione con il dolore e il sacrificio fisico. Insomma, un discorso pieno di spunti da approfondire e su cui varrebbe la pena svolgere una ricerca (infatti voleva essere mio argomento di tesi, prima di venire spodestato da altro).
Si capisce quante aspettative riponessi in questo spettacolo. Invece, mentre cercavo di capire il perché quei due si fossero travestiti da vedova Assunta, ho assistito all'enciclopedia dello stereotipo del(la) credente cattolico(a). Teatralmente parlando non funzionava l'idea della gag clownesca dentro alla chiesa, che poi diventava parco fiorito dove le due vecchiette si rotolavano (?) per risolversi in una posa stereotipata di Pietà. Le due figure con le mani giunte davanti alle candele, più che supplicare Dio sembravano chiedere al pubblico di ridere, annunciando quello che sarebbe successo il secondo successivo. Ad un certo punto una delle due vedove spalanca la bocca come per cacciare un urlo. Ma non grida! Lo spettacolo si conclude con le due figure che rivelano la loro virilità spogliandosi completamente, estraendomi un "OH" dalla gola, mentre le luci si spengono sui due che sorridono con la mano sul rispettivo pisello. Peccato, un'occasione sprecata –non per via della mano– per quello che poteva essere una etnografia danzata del corpo nella preghiera cattolica italiana. Eppure un momento della coreografia aveva soddisfatto le mie aspettative, con le due in preda alla noia della predica o quando si scambiano il segno della pace, sempre loro due, non trovando altre mani.