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lunedì 19 marzo 2012

Razzismo incrociato

Lunedì mattina, supermercato Pam nel cuore di via Padova, ore 8:48 del mattino. Sono in coda alla cassa con un vasetto di yogurt, ché devo ancora fare colazione. Davanti a me due ragazzi maghrebini stanno per pagare la loro spesa: una cassetta di birra e quattro bottiglie di vino; tra me e loro una signora con due tre cose per la casa, dietro di me la fila continua con altre signore più o meno anziane. I ragazzi cominciano a scherzare con il cassiere, un uomo sui trentacinque. Dopo alcune frasi di circostanza che strappano qualche mezzo sorriso, uno dei due:
– Eh, cosa bisogna fare.. il lavoro non c'è, è andato via, la cooperativa ha chiuso.. Rimane solo l'alcool! Il resto, solo Dio lo sa! –
L'altro passa al cassiere la tessera del supermercato.
Il cassiere: – Aspetta allora, ridammi le birre che c'è lo sconto, con la tessera. –
Il primo – Ma sì, è uguale! –
Il cassiere – No, non è uguale, costa meno! –
– Ma per quelli che non c'hanno soldi! Io ce li ho i soldi! Vedi, ho quindici euro, e quindici euro spendo per la mia colazione! Cosa li tengo a fare!–
– Finche c'è salah(??)
Insomma, dice una parola in arabo, poi continua in arabo a parlare con il suo compare. Poi dice qualcosa in francese e di nuovo si rivolge al cassiere:
– Visto, parlo francese, italiano..tutto! Solo il tedesco se me lo chiedi non lo so..! –
Il cassiere, didattico:
– Devi parlare italiano, capito? perché qui siamo in Italia. –
Riscuote l'approvazione di tutte le donne in fila (tranne me) che in coro sparso fanno – eh-eh..–
Il ragazzo:
– Ma io parlo arabo, inglese, francese..e tu non lo sai il tedesco? Devi parlare il tedesco!–
– No, io so l'italiano e mi basta. –
– L'italiano e il tedesco; io ho studiato la storia! –
Il cassiere: – Ma dovevi studiare l'italiano, non la storia –
Una signora cospira: – E la buona educazione! –
L'ultima battuta del primo dei due:
–Sì sì, vai dai germans.. E buon divertimento!–
Il cassiere: – Vedi te, io sto lavorando!–
Gli animi si scaldano, i mormorii si intensificano, parte qualche insulto dalle care vecchiette (in quel momento noto che quella dietro di me ha posato una bottiglia di whiskey sul nastro) e il cassiere si fa paladino della pace e con un gesto invita alla calma aggiungendo :
– Lasciamogli fare colazione in pace.. – Poi urla: – E' di là l'uscita! –
Loro, smarriti, proseguono fino a che le ripetute intimazioni del cassiere non li convincono (l'uscita consueta è bloccata da dei lavori in corso, ma non può essere evidente a nessuno e anch'io per un attimo mi chiedo se non li stia prendendo per il culo). Quando sono fuori, la signora davanti a me, ormai già sul punto di pagare dice cattivissima: – Rompono già le scatole alle nove del mattino? –
Il cassiere, sicuro dell'approvazione riscossa, continua i suoi commenti di circostanza. Io, rimasta in silenzio fino a quel momento per una irrefrenabile curiosità di vedere fino a che punto poteva evolvere la vicenda, rimango in silenzio, non ringrazio, non rispondo agli auguri di buona giornata ed esco per l'uscita giusta.
Attacchi di razzismo incrociato, ma il fuoco indigeno è più impietoso. Ecco l'artiglieria, ridotta ai concetti propulsori degli attacchi sferrati:
1) chi compra alcol al mattino e non è un italiano e ha meno di settant'anni, non merita rispetto;
2) chi è allo sbando perché ha perso il lavoro merita riprovazione e non solidarietà;
3) chi ti sta parlando in perfetto italiano, riuscendo a miscelare ironia in francese e in arabo, ma ha la pelle scura è comunque un ignorante;
4) gli italiani sono tutti fascisti;
5) i tedeschi sono tutti nazisti;
6) tedeschi e italiani erano alleati durante i rispettivi totalitarismi, per questo gli italiani se la intendono bene con i tedeschi;
7) gli stranieri rompono le scatole tutto il giorno, non-sapevo-quando-cominciassero-adesso-lo-so;
8) gli stranieri sono tutti uguali (alcolizzati, disoccupati, maleducati, ignoranti e scuri) gli italiani no, ma sono tutti educati e sanno bene l'italiano.
Una signora che vive nel mio palazzo, immigrata dalla Basilicata ormai più di quarant'anni orsono, è convinta che io sia straniera, benché le parli come mia mamma mi ha insegnato (mia mamma è italiana). Un giorno mi ha chiesto se sapevo cosa fosse la salsa. Un giorno si vantava con una sua amica: – Ci capiamo io e lei – riferendosi a me.
Quanto è difficile rendere elastica una mente?

sabato 17 dicembre 2011

Fotti il sistema Babilonia.



Con un po' di fiatone riusciamo ad accodarci alla manifestazione antirazzista prevista per oggi a Milano. Era già partita da piazzale Loreto da una mezz'ora abbondante, ma noi siamo riusciti ad intercettarla anche grazie all'elicottero della polizia che ci ronzava sopra. Un elicottero?! Tralascio di commentare.
La manifestazione faceva parte della mobilitazione globale contro il razzismo, e non poteva cadere in un momento più propizio, visti gli ultimi fatti razzisti che hanno intristito il nostro paese.
Sì, intristito: immediatamente dopo il dolore e la rabbia, è la tristezza il sentimento che si prova. O meglio che provano tutti coloro che pensano di impegnarsi ogni giorno, in ogni piccolo atto, a superarsi, a mettersi in discussione, a distruggere ogni germe di pregiudizio, a purificarsi per essere pronti ad incontrare l'Altro, e a farsi avvicinare. Invece questi eventi distruggono tutto, la cura discreta che mettiamo nelle nostre piccole azioni, le mani che tendiamo quando siamo sicuri di mantenere la presa. Tutti quei piccoli gesti che facciamo pensando di costruire il mondo che ci piace e in cui vorremmo vivere. La violenza è un trauma che con un'impronta grossolana abbatte i modesti ponti su cui ci sentivamo ormai al sicuro, che ci facevano dire, come in questo caso specifico, "i rapporti con i Senegalesi non sono problematici".


I problemi creati dagli omicidi di Firenze, infatti, li ho conosciuti oggi in manifestazione, dalla quale sono tornata a casa piuttosto triste. Strano per una manifestazione. Ma questa era senz'altro di un tipo speciale, premetto e sottolineo, date le circostanze. C'era molta rabbia e durezza negli sguardi, ma anche silenzi e niente aria di festa. E naturalmente la comunità migrante maggiormente rappresentata era quella dei Senegalesi.
Quando il corteo sosta davanti alla Stazione Centrale, un gruppo di manifestanti africani si schiera su due file sui gradoni delle aiuole. Uno di loro brandisce un cartello che recita: "Fuck Babylon System". Capisco il significato letterale, ma dato che sono ignorante, e trovandola una buona occasione per scambiare qualche opinione con una di queste persone, mi avvicino all'uomo del cartello e armata della mia più cretina ingenuità chiedo cosa significa. Lui mi risponde subito, traducendomi dall'inglese ("Fuck vuol dire vaffanculo, fottiti..") e io credo di percepire un certo scherno compatito nel suo modo di parlarmi. Ma continuo, spiegandomi che in realtà non so cosa significhi Babylon. E lui, proseguendo con quel tono arrogante, mi canzona "Ma come, non sai che cos'era Babylon? A scuola lo avrai imparato, no?" Ora mi sta apertamente prendendo per il culo, ma io non me ne vado e voglio sapere che cazzo significa Babylon in quella frase. Finalmente sbotta e sciorina un elenco di paesi capitalisti, mentre io mi rendo conto amaramente che usa con me quel tono che si usa di solito con le persone che si ritengono avversari politici, ideologici o semplicemente ignoranti e reazionari. Mi dice "Ascolta un po' Bob Marley, sai, che ti fa bene." Il suo disprezzo mi fa male al cuore. Mi difendo: "Ma io ascolto Bob Marley." "Ascolti Bob Marley e non sai cos'è Babylon?" dice giustamente lui, e aggiunge: "Bob Marley dice Babylon System is the Vampire. Sai cosa fa un vampiro? Non uccide, ti tiene in vita e ti succhia il sangue" dice, mentre la sua mimica mi dà l'impressione che sia tutta colpa mia. "Guarda che non è colpa mia, gli dico, anch'io sono vittima del capitalismo, anch'io sono esclusa dal lavoro, da mille garanzie. Non ti arrabbiare con me." Alex, il mio ragazzo, mi trascina via e mi consiglia di leggere il libro di uno psicologo che sa lui. Io senz'altro mi lascio accompagnare perché trovo molto ridicola l'eventualità che in questa manifestazione un'italiana e un senegalese si mettano a litigare. Ma sono amareggiata.
La manifestazione è un'occasione per portare in piazza le proprie esigenze, le proprie opinioni, le proprie sofferenze. La comunicazione con chi sta fuori è centrale e da ricercare. E' il luogo giusto per avvicinarsi a realtà che non si conoscono bene e alle persone che vi ruotano attorno. E' un'opportunità unica, dirompente. Non serve, o non serve solo, a rinforzare il senso di identità della comunità degli attivisti. Perciò è altamente probabile che chi manifesta si imbatta in persone poco familiari con le questioni portate avanti, oppure lontane per ideologia ma che, improvvisamente sensibilizzati, facciano il loro tentativo di cambiare punti di vista. Il manifestante dovrebbe accogliere come successi queste evenienze e mantenersi pronto a gestirle. Adesso io non voglio dire di essere nuova all'antirazzismo, altrimenti la mia vita fin qui non avrebbe senso, a partire da questo stesso blog. Ma non rientro in nessun gruppo definito che lotta a fianco di un determinato gruppo di migranti. Non saluto come nessun gruppo x, non mangio come loro, non prego come loro, e non faccio come nessun altro una serie di cose che determinano il mio posizionamento culturale  che sarebbe pedante provare ad elencare qui. Credo di assomigliare piuttosto ad un'italiana. Questo tuttavia non è di ostacolo alcuno al mio antirazzismo, alla mia ricerca, al mio tentativo quotidiano di avvicinamento all'altro. Per quanto insieme a tante cose brutte, è nata nella cultura occidentale la maggior parte delle idee e dei valori in cui credo (democrazia, parità dell'uomo e della donna, diritti dell'infanzia, autodeterminazione dei popoli..).

Non voglio essere esclusa da un dialogo solo perché non so cosa quel signore intendesse per Babylon. E poi. Non voglio vedere un ragazzo di colore urlare "Italiani" e poi fare tiè con le braccia. Perché gli Italiani non si sono messi dall'altra parte della barricata. E anche se io ho rivolto al ragazzo niente più che un sorriso sarcastico e un uomo che assisteva alla scena, anche lui senegalese, mi ha rassicurato "ma lui è un ignorante" al che ho replicato "e anche molto giovane", non mi è piaciuto che tutti quei ragazzini poco dopo abbiano cominciato a inneggiare ad Allah..insomma, cos'è questa confusione? cosa c'entra Allah??
La compostezza di molti uomini e donne che partecipavano alla manifestazione non vorrei in futuro cedesse il passo all'esaltazione e grossolanità di questi massimalisti. Il dialogo è fatto di delicatezza e di cura del dettaglio.
Ho paura di non essere più in grado di manifestare il mio antirazzismo, e di doverlo fare solo tramite azioni dimostrative, grossolane, che rendano ben chiara la mia appartenenza ideologica. Il mio ideale è però il dialogo, il confronto, l'approfondimento. Come fare?


Lasciando la manifestazione svicoliamo e troviamo un ristorantino "etnico". Guardiamo dentro ed è senegalese. Ho paura che agli avventori e al proprietario non piaccia avere clienti italiani oggi. Invece esce e ci dà il benvenuto. Noi diciamo che stavamo solo curiosando. Gli rivelo il mio timore. Lui mi rassicura, che in 16 anni non ha mai avuto problemi in Italia. Non è l'azione di un pazzo che cambierà le cose. Io non sono d'accordo sul chiamarlo pazzo. Pazzo è chi non si rende conto di cosa sta facendo. E di nuovo ho la sensazione che ho sbagliato a comunicare, che avrei dovuto dire sì sì, un pazzo e lasciare tutto così. Adesso ho proprio i complessi. In realtà ottengo quello che voglio: l'uomo argomenta e spiega quello che intendeva. Poi arriva una sua amica e il discorso si interrompe. Ci saluta con una stretta di mano e un arrivederci a presto.
Avrei tanta voglia di sentire cosa ne pensano le persone che leggeranno questo post, un po' confuso e lungo. Ne ho davvero bisogno come l'aria.

giovedì 10 novembre 2011

Il Paradiso dell'Antropologo-Turismo metropolitano

Ufficio anagrafe di Milano Zona 2, via Padova 118.
Una grande sala d'attesa, stracolma. Ottengo il numero 77; il tabellone indica il 26. Metto la mente in modalità "pazienza" e decido che quella sarebbe stata una buona occasione per osservare la gente che abita nel mio nuovo quartiere. Faccio una rapida statistica dei presenti: 85% di stranieri, 15% di italiani, di cui due su tre sono anziani.
Mi siedo accanto ad una signora asiatica (filippina?). Una conoscente si avvicina e le due cominciano a parlare ad alta voce nella loro lingua e io rimango in mezzo.
Da quando, ragazzina, mi sono scoperta piacevolmente incuriosita dalla novità dell'arrivo di persone di tante lingue e colori, non avevo mai pensato di poter provare un giorno questa sensazione.
Mi guardo intorno e cerco gli italiani presenti. Scorgo una signora anziana con lo sguardo perso nel vuoto. Me la figuro venti anni fa nello stesso ufficio mezzo vuoto che chiacchiera in dialetto con le coetanee.
Mi balena nell'animo un fastidio. Leggero, fugace. Ma l'ho visto bene. Provo vergogna, cerco di razionalizzare. E' razzismo questo forse? Sarà stata una pazzia fantascientifica della mia immaginazione ma per un attimo mi sono sentita in minoranza nel mio Paese.
E adesso rifletto. A guardare bene, in quella stanza non c'era un 15% di italiani e una restante percentuale di stranieri, ma un 15% di cinesi, un 15% di marocchini, un 15% di bengalesi e così via. Ognuno di loro provava forse la mia stessa sensazione di straniamento.
Ciononostante non posso fare a meno di comparare la sala d'attesa di ieri con una festa per le famiglie vista a Bruxelles, in cui tutte le componenti culturali della società belga erano ben riconoscibili, eppure tutti parlavano francese e tutti partecipavano alla stessa festa.
Questo "tutti" è una costruzione, sicuramente si trattava solo di famiglie con figli piccoli, non so dire cosa ne fosse dei venti-trentenni, essendo rimasta così poco a Bruxelles. E poi parlare il francese ha un significato ben preciso nella società belga, legato a dinamiche anche di repressione culturale e forse di assimilazione per i migranti. Ma a nessuno era vietato di essere contemporaneamente musulmano, rom o africano. E la festa era davvero gioiosa, attraversandola si aveva la sensazione che il dialogo fra culture fosse possibile.




Mi piace avere questo punto di vista critico sull'argomento, perché penso che sia davvero importante e delicato, e se si vuole davvero inaugurare un dialogo che non sia un fantoccio messo su frettolosamente per venire incontro ad un'urgenza, quella di una democrazia idealizzata, bisogna davvero affinare il proprio sguardo e il proprio linguaggio e non attestarsi su ingenuità contraddittorie e facilmente smontabili dal razzista di turno.
Mi riferisco ad un atteggiamento di certa sinistra intellettualoide che propugna un'idea di sé di apertura mentale e progressismo. Si sposa la causa migrante e proletaria senza mai averla vissuta in prima persona, senza indagare gli interstizi, le implicazioni minime. Migranti e proletari diventano loro malgrado semplici concetti per una proiezione brillante di sé. Risultando così sfruttati per l'ennesima volta, dal radical chic di turno. Da chi ha le mani pulite e candide come il culetto di un neonato. In realtà andando a vedere da vicino assomiglia più che altro ad una specie di turismo grossolano e pietista.
Da questo punto di vista potrei vantarmi di vivere in un quartiere multietnico, dicendo in giro che è una figata, che tutti si vogliono bene e non ci sono problemi e i leoni non mordono come in certe raffigurazioni bibliche dei testimoni di Geova.

PUBBLICITA' (antropologica)
Andando a studiare il Diverso, l'Altro all'università si affinano tutti gli strumenti cognitivi per capire l'Altro, per pensarlo, per non farsi trarre in inganno dai tranelli della nostra mente così strutturalmente votata al pregiudizio. Il rischio è però quello di diventare troppo raffinati per non apparire ridicoli, effeminati e insensati alle persone alle quali ci prefiggevamo di avvicinarci. Allora capita di trovarsi in un luogo abitato da stranieri e sentirsi molto cool, parlare con un operaio e raccontare il fatto come se stessimo scrivendo una cartolina. Il buon senso antropologico aiuta a svelare l'inganno e tiene tutti quanti  in guardia. In questo senso vivere qui è per me davvero un'occasione, per purificarmi davvero dal pregiudizio, chiamare le cose con il loro nome e intraprendere un dialogo sincero con la multiculturalità in cui sono immersa.