Questo fine settimana abbiamo provato l'esperienza di prendere l'auto e guidare fino a che non siamo usciti fuori da Istanbul. Vomitati fuori dalla metropoli che credevamo interminabile, ci siamo trovati a salterellare su strade inusitate e malridotte a salutare le mucche acquatiche dal finestrino, per poi approdare in questo centro abitato da polizia, educatori e militari; un centro di riabilitazione per giovani e bambini in cui non ci siamo fermati per raggiungere subito i ragazzini al pic-nic organizzato sulla riva di uno stagno in una foresta protetta; uno spazio in cui i ragazzini erano controllati a vista dalle guardie. I bambini avevano numerose cicatrici sulle braccia. L'ho realizzato quando una di loro si è presa la briga di salutarci uno ad uno con due baci sulle guance e un hoş geldiniz, pantaloni bianchi maglietta bianca, capelli neri con un ciuffo maschile, un sorriso di pace e tutti quei tagli, piccoli, ordinati, uno sotto all'altro. Poi ho guardato altre braccia e ho capito perché appena arrivati la prima cosa che gli educatori ci hanno detto è stata di fare attenzione ai taglierini che ci eravamo portati per il laboratorio di creta.
Ci siamo seduti sui tavoli e abbiamo mangiato dei fagioli, dell'insalata di yogurt e aneto, del pane e dell'anguria, guardandoci attorno sull'attenti come animaletti, nel caos dei tamburelli dei canti e dei balli. Delle ragazzine Rom fieramente ballando marcavano la loro appartenenza etnica e la loro superiorità nel canto, nel ballo nel ritmo, nei suoni con le mani, nella sensualità. Le ragazzine volevano le sigarette, volevano baciare, volevano sposare. Volevano scappare nel bosco. Gli psicologi, uno biondo che pare fosse un turco-russo, una donna con i capelli perfetti castano chiaro occhi azzurri, guardavano seri dai lati del marasma; talvolta partecipavano alle danze. Una ragazzina dallo sguardo triste e gli occhi verdi e grandi ha deciso che sarei stata io la sua mascotte e mi trascinava ovunque: dal bagno al banco con le angurie alla danza. Lo stesso è successo ai miei compagni: ognuno di loro era stato adottato. Lo yabanci-pet, cosa piuttosto diffusa tra i bimbi di qui. Abbiamo iniziato il nostro laboratorio di danza ma è durato pochissimo: tre esercizi di raffinata ricercatezza non potevano competere con Kazim Koyuncu e altre popolarissime canzoni da ballare. Le ragazze hanno apprezzato, i giochi di fiducia, di contatto, di abbandono del corpo, ma poi via a sgambettare in riga e schioccare le dita.
Un'esperienza indimenticabile, importante, con la quale ho incontrato da vicino una realtà di cui sentivo solo parlare. I bambini che hanno problemi con la giustizia, ma che ritirano la pagella, ma che a differenza dei bambini di un qualunque dove, quando commenti i voti ti rispondono “Ma tu non crucciarti, che questo è un mio problema, non il tuo!”.
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