Il Partito Democratico della Pace, Bdp, il partito della lotta del popolo curdo per i diritti, ha presentato la sua lista di candidati per le prossime elezioni parlamentari del 12 giugno. Fra di essi sei persone sotto processo perché accusati di appartenere al Kck, la confederazione democratica curda voluta da Abdullah Öcalan che il governo turco teme almeno tanto quanto Ergenekon, benché le due realtà non possano essere più lontane. Kck è il frutto degli studi a cui il leader curdo si è dedicato durante i suoi anni in prigione, che non vanno disgiunti dagli inviti rivolti al Pkk di agire in modo democratico e nella ricerca di un dialogo con il governo.
Fra i candidati si distinguono personalità davvero potenti, dal punto di vista emotivo e per la attualità degli eventi ad essi legati. Basta fare un esempio, per ritrovarne il filo già in questo blog: Ahmet Türk, aggredito selvaggiamente esattamente un anno fa, candidato a Mardin. O Leyla Zana, in prigione per dieci anni per aver pronunciato una frase in curdo in parlamento, che è in lista a Diyarbakir.
Il vice primo ministro turco Cemil Çiçek ha dichiarato in tv che la legge non vieta di candidare persone implicate in un processo. E' una scelta del partito, che poi quello che conta è la volontà popolare, ha detto Çiçek.
Per ora i nomi sono 61, tra cui 13 donne, per 39 province.
"..metterci nei loro panni, un'impresa snervante che non riesce mai perfettamente." C.Geertz
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domenica 10 aprile 2011
mercoledì 14 aprile 2010
Barış hemen şimdi!
Cosa ci faccio seduta per terra in piazza Taksim a scandire slogan per la causa curda?
Lunedì Ahmet Türk è stato vittima di un attacco fascista. Allora eccomi con l'aiuto del dizionario a decifrare i motti. E a ripeterli a mia volta. Donne voluminose sollevano un braccio e distendono indice e medio e danno del fascista allo Stato, all'AKP e ai lupi grigi. Urlano “indipendenza”. Stefania è di fianco a me e dice: “Guardare queste donne qui in questo momento e ripensare a quello che possono aver passato mi mette i brividi”. Stefania ha partecipato ad un'inchiesta sociologica in giro per le famiglie curde del quartiere di Kayışdağı, e ha ascoltato troppe volte i loro racconti di arresti, soprusi, torture e uccisioni. “In ogni famiglia c'è un dramma.”
Gli uomini orgogliosi che rigirano il tasbih oggi chiedono le dimissioni del governatore di Samsun.
Perché non ha fatto niente per evitare che un gruppo di esaltati riuscisse a raggiungere con un pugno il naso di Ahmet Türk rompendoglielo. La polizia stava a guardare.
La gente è in piazza e chiede la pace, subito! E intanto, una simile protesta, in un'altra città, ha portato alla morte un ragazzino di 14 anni. L'immagine della madre che tiene in una mano le scarpe del figlio sembra aver colpito particolarmente i quotidiani che riportano tutti la stessa foto.
Ad un certo punto dalla moschea adiacente la piazza, il muezzin, che fino a pochi attimi prima sedeva quieto accanto alla finestrella ad osservare la folla, intona il suo richiamo alla preghiera. Allora i manifestanti si siedono, in silenzio, e aspettano che finisca. Finalmente riesco a guardare la dimensione dell'assembramento, per un attimo, prima che qualcuno mi tiri per un braccio e mi ordini di sedermi. Poi l'idea dell'adunata sediziosa pare piacere e il servizio d'ordine gira fa i manifestanti invitandoli a mantenere seduti. Di fronte alla folla ci sono una quindicina di cameramen e fotografi. Dietro di loro i poliziotti. Molti. E due panzer. Uno di loro ad un certo punto accende il motore e si muove verso la folla. Poi si ferma e rimane lì, a sporcare l'aria, col motore acceso. “Siamo tutti curdi, siamo tutti Ahmet Türk”, rispondono loro. Incontriamo un amico, Yakup, appena uscito dall'università. Si siede con noi e ci aiuta a capire gli slogan. Gli chiediamo: “Come stai?” e lui serissimo: “Bene, ma arrabbiato.”
Nel Dicembre dello scorso anno, a Bulanık, nella regione del lago di Van, due uomini furono uccisi dai colpi d'arma da fuoco di un negoziante esasperato dalla folla in protesta per la chiusura del DPT Demokratik Toplum Partisi, partito filo-curdo accusato di avere contatti con il PKK.
In questi giorni si sta svolgendo a Samsun, sul mar Nero, il processo mosso nei suoi confronti. Ahmet Türk, leader del disciolto partito, si trovava lì come osservatore e aveva appena rilasciato una dichiarazione alla stampa.
Lunedì Ahmet Türk è stato vittima di un attacco fascista. Allora eccomi con l'aiuto del dizionario a decifrare i motti. E a ripeterli a mia volta. Donne voluminose sollevano un braccio e distendono indice e medio e danno del fascista allo Stato, all'AKP e ai lupi grigi. Urlano “indipendenza”. Stefania è di fianco a me e dice: “Guardare queste donne qui in questo momento e ripensare a quello che possono aver passato mi mette i brividi”. Stefania ha partecipato ad un'inchiesta sociologica in giro per le famiglie curde del quartiere di Kayışdağı, e ha ascoltato troppe volte i loro racconti di arresti, soprusi, torture e uccisioni. “In ogni famiglia c'è un dramma.”
Gli uomini orgogliosi che rigirano il tasbih oggi chiedono le dimissioni del governatore di Samsun.
Perché non ha fatto niente per evitare che un gruppo di esaltati riuscisse a raggiungere con un pugno il naso di Ahmet Türk rompendoglielo. La polizia stava a guardare.
La gente è in piazza e chiede la pace, subito! E intanto, una simile protesta, in un'altra città, ha portato alla morte un ragazzino di 14 anni. L'immagine della madre che tiene in una mano le scarpe del figlio sembra aver colpito particolarmente i quotidiani che riportano tutti la stessa foto.
Ad un certo punto dalla moschea adiacente la piazza, il muezzin, che fino a pochi attimi prima sedeva quieto accanto alla finestrella ad osservare la folla, intona il suo richiamo alla preghiera. Allora i manifestanti si siedono, in silenzio, e aspettano che finisca. Finalmente riesco a guardare la dimensione dell'assembramento, per un attimo, prima che qualcuno mi tiri per un braccio e mi ordini di sedermi. Poi l'idea dell'adunata sediziosa pare piacere e il servizio d'ordine gira fa i manifestanti invitandoli a mantenere seduti. Di fronte alla folla ci sono una quindicina di cameramen e fotografi. Dietro di loro i poliziotti. Molti. E due panzer. Uno di loro ad un certo punto accende il motore e si muove verso la folla. Poi si ferma e rimane lì, a sporcare l'aria, col motore acceso. “Siamo tutti curdi, siamo tutti Ahmet Türk”, rispondono loro. Incontriamo un amico, Yakup, appena uscito dall'università. Si siede con noi e ci aiuta a capire gli slogan. Gli chiediamo: “Come stai?” e lui serissimo: “Bene, ma arrabbiato.”
Nel Dicembre dello scorso anno, a Bulanık, nella regione del lago di Van, due uomini furono uccisi dai colpi d'arma da fuoco di un negoziante esasperato dalla folla in protesta per la chiusura del DPT Demokratik Toplum Partisi, partito filo-curdo accusato di avere contatti con il PKK.
In questi giorni si sta svolgendo a Samsun, sul mar Nero, il processo mosso nei suoi confronti. Ahmet Türk, leader del disciolto partito, si trovava lì come osservatore e aveva appena rilasciato una dichiarazione alla stampa.
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