Visualizzazione post con etichetta islam. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta islam. Mostra tutti i post

domenica 8 dicembre 2013

Il sistema-Islam. Nella tana del lupo.


Mi sveglio di buon'ora, dopo una notte agitata di solo dormiveglia e mi premo dentro un minibus strapieno in cui non credevo sarei mai potuta entrare (ne passano tre o quattro prima di convincermi). A Üsküdar prendo il battello per il Corno D'oro, uno spettacolo di ponti mobili rimasti aperti, e strade sospese, che scorgo fra le palpebre che si aprono, e si chiudono. Faccio un conteggio delle cose che indosso e mi chiedo se non sarò troppo riconoscibile e fuori luogo. I miei stivaletti verdi un po' consunti, con le stringhe avvolte intorno alle caviglie e poi allacciate, pantaloni aderentissimi, dolcevita e grande maglione fino a metà coscia pieno di pirulini di lana, giacca nera, berretto e coda di cavallo semispettinata. Due occhiaie profonde.
Si tratta del congresso dei giovani uomini d'affari della Müsiad, la confederazione indipendente (leggi: musulmana) dell'industria istanbuliota. Nel programma di apertura è prevista la partecipazione del premier Recep Tayyip Erdoğan, e io sono veramente curiosa di verificare la sua aura di persona, la portata della sua presenza.
Mi ero iscritta al congresso in qualità di “studente”, non mi era stato chiesto nient'altro. Il congresso era internazionale e l'Italia era uno dei paesi d'interesse elencati. Dunque la mia presenza era più o meno legittima. Se avessi potuto, ecco, sì, mi sarei messa un po' più in ghingheri, ma il mio bagaglio è piuttosto ridotto.
Il centro congressi di Haliç, a Sütlüce è un bell'edificio che si affaccia sul mare accanto all'attracco del battello. Mi metto in coda per ritirare il mio pass. Ma presto la procedura viene annullata per la troppa folla e un addetto alla sicurezza invita tutti a lasciar perdere ed entrare che inizia il programma. Ci sono tanti giovani, ragazzi e ragazze, barbuti e non, velate e non. Ci sono pulmini dei vari kolej privati e delle università che portano i loro studenti. Ci sono persone che parlano arabo e nessuno in tenuta da sceicco. Appena varco la porta dell'auditorium mi prende un brivido: “Ecco, sto entrando nella pancia del lupo” penso. Nella semioscurità, solo il grande palco è illuminato, e un motivetto ottomano fa da sottofondo (ripetuto fino allo sfinimento). Sulle due facciate laterali è proiettato il logo della Müsiad, con sotto scritto Müsiad. Prendo posto immediatamente vicino al corridoio di ingresso: non si sa mai chi entra e vale la pena fotografare, mi dico. Mi provvedo di cuffie per la traduzione simultanea, disponibile in inglese e in arabo.
Dopo quaranta minuti buoni di assestamento, finalmente si comincia. Sale sul palco l'Imam Abdullah (okay, non ho preso nota del nome). Si siede e comincia a cantare. Poi viene proiettato un video di presentazione della associazione di industriali, riassuntivo della loro filosofia e della loro proposta identitaria. Il congresso è giocato sul tema Rizq-Risk (rızk-risk in turco).
Rizq nel Corano dovrebbe più o meno essere (invito gli informati a commentare e ad aggiungere informazioni) il livello di vita concesso da Allah, previsto già prima della nostra nascita e che siamo necessariamente chiamati a portare a compimento prima della nostra morte. Riguarda tutto ciò che possediamo e che ci procuriamo per sopravvivere. La conseguenza è che se viene accumulato più di quanto Allah abbia previsto per noi, cadiamo nel peccato. America, Unione Europea e Israele si trovano attualmente in questa situazione. Ma come conciliare questa legittima accumulazione di capitale con la realtà del mercato e degli investimenti, risk appunto? L'accumulazione di capitale fatta secondo l'Islam deve avere come scopo il benessere generale della Ummah, deve guardare ai poveri, a chi non ha niente. Chi accumula troppo in questo mondo, non avrà niente nell'altro. Murat Kalsın, della Camera di Commercio di Istanbul cita a questo proposito le parole della moglie del Sultano Fatih: “Per capire quali sono le nostre possibilità, bisogna guardare a quelli che non hanno possibilità”.
La differenza con il capitalismo di fattura occidentale è che questo non tiene conto della responsabilità sociale dell'attività bancaria, perché alla fin fine è l'economia umana che conta nel lungo termine, dice Khaled M. Al-Aboodi, direttore generale di ICD, Islamic Corporation for the Development of the Private Sector (che così, per curiosità, ha un comitato per la Shari'a). Sono gli emarginati che bisogna tenere in considerazione. E mi vengono in mente Sulukule e Fikirtepe, in particolare la seconda, con tutti i discorsi che si fanno sullo Stato che viene in soccorso dei poveri abitanti di quelle case vecchie, piene di buchi e di infiltrazioni, dove si consuma droga e la criminalità e all'ordine del giorno; dove gli abitanti ringraziano, con un grande striscione esposto sulla tangenziale, per l'interesse dimostrato per il quartiere. E come dice il presidente della Müsiad, Nail Olpak, la crisi dell'economia occidentale è istituzionale. È il settore privato che può farsi carico di questa responsabilità, e a Istanbul è in forte sviluppo. Con un accento di entusiasmo popolano il concetto è chiarito meglio dal ministro dell'economia Zafer Çağlayan (venuto per sopperire all'assenza del premier): “Tutti vogliono essere come Istanbul, tutti ci imitano! Noi siamo una grande forza che sta crescendo, e se quelli là (Eu e Usa e Israele) non vogliono riconoscerlo, fatti loro!”. Questo ministro è molto goffo, e parla a lungo, a lungo, per slogan. Mi fa pensare a Silvio Berlusconi e i suoi. Solo che questi se la prendono con i comunisti e la magistratura, quello con l'Europa. In più la traduzione simultanea in inglese non funziona, dietro alle cuffie c'è una ragazzina in preda al panico che poveretta non ci riesce e traduce una parola ogni tanto. Quella in arabo è fluida e funziona benissimo. Arriva il momento della preghiera del venerdì a cui tutti siamo invitati a partecipare. In preda alla noia, alla frustrazione per non capire bene, alla sensazione di essere fuori posto e la voglia di scappare via, ma soprattutto al sonno, mi dirigo verso il battello su cui mi addormento procacemente spalancando le fauci e forse russando.
È il sistema-Islam: tutto racchiuso nella piccola fiera dei giovani imprenditori nella hall del centro congressi. Una scuola islamica, dove si insegna turco, inglese, arti visive, educazione del corpo, recitazione del Corano (Kur'an-i Kerim), cultura religiosa e musica, in prima elementare, per esempio. Poi un sistema di produzione secondo i dettami religiosi. Un luogo dove abitare: i progetti edilizi del gruppo Akyapı erano presenti in mostra (uno è quello che ho fotografato in questo post). Un modo per vestirsi: la famosa azienda tessile Armine esponeva i suoi fazzoletti. Un modo di mangiare: aziende alimentari esponevano, solo su volantini, purtroppo, i loro prodotti. E via dicendo.




domenica 18 dicembre 2011

Detto altrimenti..

Ecco qui il link ad un articolo di Ileana Montini sul sito womenews.net nel quale mi sono imbattuta per caso facendo ricerca sull'atteggiamento materno oblativo. Contiene un punto di vista affine al mio, che sono solita sintetizzare nella parola "dialogo". Lo stesso concetto attraversa l'intero articolo e in particolare è esattamente quello di cui parla il citato pensiero del sociologo Stefano Allievi, quando parla di "conflitto necessario".

martedì 12 aprile 2011

Nave umanitaria per la Libia

Partirà questa sera (o domani mattina) dal porto marittimo di Zeyport, Istanbul, una nuova missione dell'organizzazione non governativa islamica İHH, diretta a Misurata, in Libia. Il carico consiste di 682 tonnellate di generi di prima necessità, quali cibo e medicinali, per un valore totale di cinque milioni di lire turche, oltre due milioni e mezzo di euro.

La İHH è la stessa Ong turca che aveva guidato la Freedom Flotilla diretta verso Gaza con lo scopo di forzare il blocco imposto da Israele nel maggio dello scorso anno. La nave ammiraglia, la Mavi Marmara, venne abbordata dall'esercito israeliano. L'epilogo, con otto morti tra gli attivisti turchi, oltre ad un americano di origine turca, fu la causa della rottura dei rapporti diplomatici della Turchia con Israele e il trionfo dell'immagine della Turchia come paladina dei diritti dei popoli musulmani repressi.

Così si è espresso il presidente dell'associazione umanitaria Bülent Yıldırım riguardo alla missione in partenza per la Libia: " Vogliamo che questi aiuti raggiungano la gente della Libia, colpita sia dal governo libico che dalle forze Nato, che intendono conquistare il mondo islamico".

Intanto per quanto riguarda la faccenda della Mavi Marmara l'Onu ha convocato un tavolo di discussione con lo scopo di redigere una presentazione da consegnare al segretario generale Ban Ki Moon. Verranno ascoltati diplomatici di entrambe le nazioni coinvolte, Turchia e Israele, rispettivamente il 26 e il 27 aprile. Il tavolo sarà presieduto dall'ex premier neozelandese Geoffrey Palmer e dall'ex presidente colombiano Alvaro Uribe. E mentre una nuova Freedom Flotilla verso Gaza è programmata per il prossimo giugno, il governo israeliano sta già facendo pressioni per invitare i promotori a desistere da questo nuovo tentativo di forzare il blocco.