Lunedì mattina, supermercato Pam nel cuore di via Padova, ore 8:48 del mattino. Sono in coda alla cassa con un vasetto di yogurt, ché devo ancora fare colazione. Davanti a me due ragazzi maghrebini stanno per pagare la loro spesa: una cassetta di birra e quattro bottiglie di vino; tra me e loro una signora con due tre cose per la casa, dietro di me la fila continua con altre signore più o meno anziane. I ragazzi cominciano a scherzare con il cassiere, un uomo sui trentacinque. Dopo alcune frasi di circostanza che strappano qualche mezzo sorriso, uno dei due:
– Eh, cosa bisogna fare.. il lavoro non c'è, è andato via, la cooperativa ha chiuso.. Rimane solo l'alcool! Il resto, solo Dio lo sa! –
L'altro passa al cassiere la tessera del supermercato.
Il cassiere: – Aspetta allora, ridammi le birre che c'è lo sconto, con la tessera. –
Il primo – Ma sì, è uguale! –
Il cassiere – No, non è uguale, costa meno! –
– Ma per quelli che non c'hanno soldi! Io ce li ho i soldi! Vedi, ho quindici euro, e quindici euro spendo per la mia colazione! Cosa li tengo a fare!–
– Finche c'è salah(??)
Insomma, dice una parola in arabo, poi continua in arabo a parlare con il suo compare. Poi dice qualcosa in francese e di nuovo si rivolge al cassiere:
– Visto, parlo francese, italiano..tutto! Solo il tedesco se me lo chiedi non lo so..! –
Il cassiere, didattico:
– Devi parlare italiano, capito? perché qui siamo in Italia. –
Riscuote l'approvazione di tutte le donne in fila (tranne me) che in coro sparso fanno – eh-eh..–
Il ragazzo:
– Ma io parlo arabo, inglese, francese..e tu non lo sai il tedesco? Devi parlare il tedesco!–
– No, io so l'italiano e mi basta. –
– L'italiano e il tedesco; io ho studiato la storia! –
Il cassiere: – Ma dovevi studiare l'italiano, non la storia –
Una signora cospira: – E la buona educazione! –
L'ultima battuta del primo dei due:
–Sì sì, vai dai germans.. E buon divertimento!–
Il cassiere: – Vedi te, io sto lavorando!–
Gli animi si scaldano, i mormorii si intensificano, parte qualche insulto dalle care vecchiette (in quel momento noto che quella dietro di me ha posato una bottiglia di whiskey sul nastro) e il cassiere si fa paladino della pace e con un gesto invita alla calma aggiungendo :
– Lasciamogli fare colazione in pace.. – Poi urla: – E' di là l'uscita! –
Loro, smarriti, proseguono fino a che le ripetute intimazioni del cassiere non li convincono (l'uscita consueta è bloccata da dei lavori in corso, ma non può essere evidente a nessuno e anch'io per un attimo mi chiedo se non li stia prendendo per il culo). Quando sono fuori, la signora davanti a me, ormai già sul punto di pagare dice cattivissima: – Rompono già le scatole alle nove del mattino? –
Il cassiere, sicuro dell'approvazione riscossa, continua i suoi commenti di circostanza. Io, rimasta in silenzio fino a quel momento per una irrefrenabile curiosità di vedere fino a che punto poteva evolvere la vicenda, rimango in silenzio, non ringrazio, non rispondo agli auguri di buona giornata ed esco per l'uscita giusta.
Attacchi di razzismo incrociato, ma il fuoco indigeno è più impietoso. Ecco l'artiglieria, ridotta ai concetti propulsori degli attacchi sferrati:
1) chi compra alcol al mattino e non è un italiano e ha meno di settant'anni, non merita rispetto;
2) chi è allo sbando perché ha perso il lavoro merita riprovazione e non solidarietà;
3) chi ti sta parlando in perfetto italiano, riuscendo a miscelare ironia in francese e in arabo, ma ha la pelle scura è comunque un ignorante;
4) gli italiani sono tutti fascisti;
5) i tedeschi sono tutti nazisti;
6) tedeschi e italiani erano alleati durante i rispettivi totalitarismi, per questo gli italiani se la intendono bene con i tedeschi;
7) gli stranieri rompono le scatole tutto il giorno, non-sapevo-quando-cominciassero-adesso-lo-so;
8) gli stranieri sono tutti uguali (alcolizzati, disoccupati, maleducati, ignoranti e scuri) gli italiani no, ma sono tutti educati e sanno bene l'italiano.
Una signora che vive nel mio palazzo, immigrata dalla Basilicata ormai più di quarant'anni orsono, è convinta che io sia straniera, benché le parli come mia mamma mi ha insegnato (mia mamma è italiana). Un giorno mi ha chiesto se sapevo cosa fosse la salsa. Un giorno si vantava con una sua amica: – Ci capiamo io e lei – riferendosi a me.
Quanto è difficile rendere elastica una mente?
"..metterci nei loro panni, un'impresa snervante che non riesce mai perfettamente." C.Geertz
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lunedì 19 marzo 2012
sabato 31 dicembre 2011
Le rose del vicino
"Il mio vicino di casa dev'essere disoccupato come me", ho concluso infine tra me e me, dato che è a casa nelle ore in cui anch'io sono a casa. Non ci conosciamo ancora, ci salutiamo sul pianerottolo e sulle scale e i rumori che fa in bagno al mattino mi svegliano bruscamente. Tutto qua. In casa credo che abitino due uomini, una donna e un bambino piccolo, che piange spesso in modo molto teatrale. Vengono ad occhio e croce dal Bangladesh, o da qualche parte giù di lì.
Ieri sera noi scendevamo precipitosi e festanti le scale per andare in centro a bere qualcosa. Da quando siamo qui forse è la seconda volta che lo facciamo. Non è molto facile sentirsi vivi quando non hai un soldo in tasca, soprattutto d'inverno. Ma ieri sera ho deciso che avrei dimenticato le mie frustrazioni e mi sarei aggiunta alla fiumana di gente che ogni notte invade i locali suggestivi dei navigli e chiacchiera spensierata. Sarei stata semplicemente una in più. Era una serata bellissima, con il vento che portava un odore candido di montagna, le stelle e la luna a Stregatto e una strana calma, voglia di passeggiare.
Torniamo un attimo alla scala e al mio vicino, però. Il mio vicino stava scendendo anche lui la scala insieme ad un altro –presumibilmente quello che abita con lui. Entrambi tenevano in mano un mazzo di rose. Per la prima volta la sua faccia è uscita dal quadro che rappresentava il mio vicino di casa e ha ricomposto l'immagine del venditore ambulante di rose. Ci siamo salutati e siamo andati nella stessa direzione, noi più veloci, ci siamo persi quasi subito.
Una volta seduta nel mio bel locale sui navigli, a sorseggiare splendide bevande in cocci sontuosi, locali che si sforzano di sembrare poveri, come le vecchie taverne, ma difficilmente accoglierebbero chi quelle taverne rendeva così calde: i poveri derelitti, pieni di vino e con l'alito puzzolente, che stanavano a fatica le monetine per pagare un ultimo goccio in fondo a tasche sdrucite e luride. Chissà se oggi i nuovi disperati siamo noi: ben vestiti con le giacche firmate che qualche parente ci ha regalato e che ci vergogniamo a mettere, parlando di esperienze all'estero in inglese, seduti elegantemente sorseggiando assaporando.
Ho cercato timidamente nelle facce dei venditori di rose il mio vicino di casa. Non c'era, meglio così. Non so se avrei sostenuto l'imbarazzo di trovarmi dall'altra parte, anche se solo eccezionalmente. Dalla parte di quelli che spesso sono stronzi e ti mandano via in malo modo, e spesso esagerano con l'affabilità e ti trattano come un idiota, e magari si aspettano pure che ti ricordi di loro solo perché sono stati gentili.
Quando ho detto ad Alex: "Forse potrei vendere anch'io fiori sui Navigli." lui mi ha accusata di voler rubare il lavoro ai pakistani.
Ieri sera noi scendevamo precipitosi e festanti le scale per andare in centro a bere qualcosa. Da quando siamo qui forse è la seconda volta che lo facciamo. Non è molto facile sentirsi vivi quando non hai un soldo in tasca, soprattutto d'inverno. Ma ieri sera ho deciso che avrei dimenticato le mie frustrazioni e mi sarei aggiunta alla fiumana di gente che ogni notte invade i locali suggestivi dei navigli e chiacchiera spensierata. Sarei stata semplicemente una in più. Era una serata bellissima, con il vento che portava un odore candido di montagna, le stelle e la luna a Stregatto e una strana calma, voglia di passeggiare.
Torniamo un attimo alla scala e al mio vicino, però. Il mio vicino stava scendendo anche lui la scala insieme ad un altro –presumibilmente quello che abita con lui. Entrambi tenevano in mano un mazzo di rose. Per la prima volta la sua faccia è uscita dal quadro che rappresentava il mio vicino di casa e ha ricomposto l'immagine del venditore ambulante di rose. Ci siamo salutati e siamo andati nella stessa direzione, noi più veloci, ci siamo persi quasi subito.
Una volta seduta nel mio bel locale sui navigli, a sorseggiare splendide bevande in cocci sontuosi, locali che si sforzano di sembrare poveri, come le vecchie taverne, ma difficilmente accoglierebbero chi quelle taverne rendeva così calde: i poveri derelitti, pieni di vino e con l'alito puzzolente, che stanavano a fatica le monetine per pagare un ultimo goccio in fondo a tasche sdrucite e luride. Chissà se oggi i nuovi disperati siamo noi: ben vestiti con le giacche firmate che qualche parente ci ha regalato e che ci vergogniamo a mettere, parlando di esperienze all'estero in inglese, seduti elegantemente sorseggiando assaporando.
Ho cercato timidamente nelle facce dei venditori di rose il mio vicino di casa. Non c'era, meglio così. Non so se avrei sostenuto l'imbarazzo di trovarmi dall'altra parte, anche se solo eccezionalmente. Dalla parte di quelli che spesso sono stronzi e ti mandano via in malo modo, e spesso esagerano con l'affabilità e ti trattano come un idiota, e magari si aspettano pure che ti ricordi di loro solo perché sono stati gentili.
Quando ho detto ad Alex: "Forse potrei vendere anch'io fiori sui Navigli." lui mi ha accusata di voler rubare il lavoro ai pakistani.
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