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giovedì 7 giugno 2012

Intimità e noia


Raccontando questi itinerari, quello che spero è di trasmettere un certo modo di camminare, di attraversare lo spazio, di esplorare, che è precisamente anche un modo di guardare, di soffermarsi, di dare peso. A volte in queste passeggiate capita di non trovare nulla, ed è difficile farne un reportage. Non per questo vale di meno la pena di procedere nell'attraversamento, insomma, di godersi la passeggiata.


Sono tornata laddove la scorsa passeggiata si era spinta, prima di ritornare indietro: le case occupate di piazza Ferravilla. Incuriosita dalla particolarità di questi edifici, ho voluto concedermi più tempo per osservarli. Queste villette stile liberty dell'Aler si dispiegano da un lato e dall'altro di uno stretto viottolo pedonale (via Apollodoro), che collega la piazza con via Andrea del Sarto. Le case giacciono quasi tutte in stato di abbandono, a parte quelle riqualificate dagli occupanti e una che è la sede del Centro Aiuto Drogati onlus e del suo sportello migranti. Le altre espongono targhette importanti: Cgil, Cisl, Uil, la stessa Aler (c'è perfino un'associazione per l'accoglienza dei ricercatori stranieri), ma le istituzioni cui si riferiscono non sembrano mettere piede qui da un po' di tempo. É incredibile, perché queste case sono bellissimeAl ritorno a casa ho potuto saperne di più grazie a questo articolo.

Sono tornata da queste parti anche perché la retrostante piazza Asperi mi ricorda una zona di Bruxelles che avevo attraversato di notte in auto. Le case basse, folte di vegetazione, addobbate con opere d'arte, disegni, colori; pavimentazione di sanpietrini, calma e spazio sopra la testa. C'è un certo raccoglimento, un'intimità, che ritrovo in tutte le vie circostanti: via Tiepolo, via del Sarto, via Verrocchio, al cui limitare si erge la possente Aeronautica Militare, in marmo bianco imperiale e le simbologie guerresche.

Si svela il segreto di questa intimità: l'interruzione del suo essere piazza di piazza Novelli, costretta in un cantiere che tiene temporaneamente separate le strade che da essa, a raggiera, si dipanano. Tutto è marciapiede, tutto è parcheggio. Non vi è transito. Si può sostare con calma con biciclette e cagnolini in mezzo alla strada, come fanno alcuni ragazzini in via Giuditta Sidoli. E' come una città provvisoria, interrotta. C'è calma, dunque, e vento. Ci sono balconi e gente affacciata –le villette sono ormai nascoste dai palazzoni– le strade sono vuote e sonnacchiose come in un pomeriggio d'estate. Fotografo una serie di decorazioni poste sopra i portoni d'ingresso di alcune abitazioni, come dei simboli araldici, stemmi delle famiglie che vi dimorano. L'ultimo della serie è, in maniera sommamente ironica –trovo– un ragno di bronzo sulla sua ragnatela. Non c'è niente di emozionante da vedere, mi lascio passeggiare mollemente godendomi il vento. Osservo come progressivamente le case davanti a me sono raggiunte e aggredite da una giungla di edere e gelsomini e altre piante, come se la Natura, approfittando della disattenzione degli esseri umani, stesse lentamente riprendendo il sopravvento, piano per non destare sospetti.




Mi pongo come vuoto obiettivo quello di raggiungere una macchia verde che si vede in fondo a via Giuseppe Piolt de' Bianchi. Due ragazzine mi sfarfallano a fianco sorpassandomi rompendo il silenzio e come risvegliandomi. Una delle due la ritrovo correre nella direzione opposta mentre al telefono cerca disperatamente un riferimento spaziale per orientare il suo interlocutore. Impossibile, qui ci sono solo palazzi che si distinguono solo per le decorazioni di stucco sugli ingressi sontuosi.
Emergendo da questa monotonia sono stupita di trovare questo personaggio di bronzo semi-inginocchiato di fronte ad un blocco di marmo. Lo aggiro e scopro che si tratta del monumento a Giuseppe Grandi, e che mi trovo appunto in piazza Grandi. Mi piace lo spazio: è una lieve altura che eleva sopra il sottostante corso XXII Marzo. É strano trovarsi in questa prospettiva a Milano. E poi apprezzo molto questi lastroni di marmo ancora caldi di sole. Mi sdraio per riprendere l'energia che mi serve per tornare a casa, mentre osservo le fronde piene di vento degli alberi altissimi.








         Prima di riprendere l'autobus su viale Campania, Wow! Lo spazio fumetto mi richiama ad un'ultima incursione. Dentro trovo dei palazzi arancioni costruiti con i lego presidiati da un lucertolone bianco e i suoi piccoli. Poi, nascosto fra i cespugli, c'è il regno dei bambini, che, infischiandosi del fatto che si tratta di una pista per skaters, li hanno emarginati in un angolo e hanno trasferito qui la loro festa di compleanno, e solo la promessa di un gelato li richiama tutti fuori verso le rispettive mamme.

martedì 22 maggio 2012

Risalendo le briciole della festa



Scegliamo di inaugurare la nostra camminata con i luoghi dedicati a Fausto e Iaio: possono essere i giardini di piazza Durante da poco dedicati a loro due, “per sempre ragazzi”, vittime della violenza fascista nel 1978; oppure la strada in cui la morte li ha cercati mentre tornavano a casa quel giorno: via Mancinelli, oggi luminosa, piena di murales con i loro ritratti, che inizia con il deposito dell'Atm, con i tram che riposano sulle rotaie, che non smettono il loro fascino pur nel trambusto della velocità odierna. La forza rotaia, tutta potenziale. Un che di antico, oggi lentissimi. Un moderno del passato. E termina su un'abbazia di mattoni rossi, la Casoretto, che se si svicola svela la chiesa annessa, un sagrato dove uomini e donne sulla cinquantina scambiano battute divertenti, un campo sportivo che gronda di mamme e bambini e un cinema che non ospita ormai che ortiche ed erbacce. Con il caldo e l'afa malsopportati durante tutta la giornata, o il tedio del neon di un interno universtario, è bello ondeggiare insieme alle fronde fitte degli alberi di viale Lombardia. Se si decide di tirare dritto fino a piazza Piola, si possono osservare queste bellissime villette in stile liberty tutte verdi e piene di giardini. Intervallate da post-moderne geometrie e scaloni.
Cerchiamo una bottega per acquistare qualcosa che ci dia ristoro. Troviamo solo un supermercato e passando oltre ci accorgiamo che nasconde una targa commemorativa dei martiri della Resistenza, all'ingresso del parcheggio, sopra all'uscita di servizio, seminascosta dalla grondaia. Poco più avanti si apre la bellissima piazza Leonardo da Vinci, che dà il nome al campus del Politecnico, preceduto da una chiesa abbandonata coperta di piastrelline di maiolica verde su cui sono affisse una gigantografia di Songoku e un altro faccione. L'area pedonale dove c'è anche il teatro s. Leonardo ha delle panche, su cui un libraio ambulante ha disposto i suoi libri e ora, prima che smonti canticchiando Ohi ohi, campo d'aria riesce a vendermi senza sforzo alcuno Modelli di cultura di Ruth Benedict edizione Feltrinelli 1979 per due euro. Viene tutti i giorni tranne il sabato e la domenica e quando piove. Entriamo nell'edificio antistante: c'è una piazza coperta con dei tavoli dove gli studenti spremono le ultime energie della giornata in discussioni davanti a libri e pc, e ci infiliamo in una sala dove c'è l'esposizione Lezione di Galileo Galilei sulla struttura dell'Inferno. Finché il custode non ci caccia fuori che deve chiudere. Un cantiere interrompe la strada e avvolge una libreria. Annesso c'è il Centro Balneare Estivo Romano. Questo cantiere, aperto dal 2003 per la costruzione di un parcheggio sotterraneo, ha provocato danni agli edifici circostanti; una vicenda che è costata “la testa” a due funzionari comunali, colpevoli di non aver vigilato sui lavori come di dovere. Torniamo alla piazza. La festa di agraria si è appena consumata e i superstiti giacciono qua e là sul prato o giocano a pallone o si fanno burle. Sembra una a me più familiare piazza Verdi bolognese su un prato milanese. Restiamo un po' lì sdraiati poi attraversiamo la piazza per intero, salutando le sculture. Attraversiamo la strada e scopriamo un'incantevole pista di pattinaggio. 
Su viale Romagna troppo grande ci intrufoliamo in una via laterale, Mangiagalli e poi Dubini, attirati da un cartello vendesi apposto su un caseggiato che sembra un pezzo di centritalia, un po' Romagna davvero, e infine una serie di porte colorate abbinate ai fiori che espongono. Sbuchiamo fuori e i cortili delle case popolari ci trascinano per un momento nei ricordi dell'infanzia; con la vista: le reti di ferro e gli orti al posto del cemento; con l'olfatto: certi odori di cibo e di panni al vento che mai viene spazzato via. All'angolo un'insegna di un panettiere è ancora accesa: è il segno che dobbiamo cenare. Il panettiere Magdi dopo le 19 fa lo sconto su pizze e focacce. Oggi ha preparato cinquemila panini per gli studenti di agraria in festa, di cui parla con molto affetto. D'altronde anche lui ha tre figli di cui due all'università. Ci sediamo su due divani di cemento sulla banchina alberata del viale e consumiamo le nostre focacce mentre il traffico ci scorre ai due lati. Più oltre andiamo a far visita ai ragazzi delle scuole superiori che hanno occupato delle splendide ville Aler in piazza Ferravilla che giacevano in completo stato di malora e abbandono. Lisa ci saluta all'ingresso, ci fa entrare e ci conduce in ogni stanza e anfratto visitabile. Presto qui sorgerà una sala prove, un laboratorio di falegnameria e cartonatura e nascerà un bambino. Ritorniamo su viale Romagna e piazza Leonardo da Vinci. Il ritorno a casa è fra le piccole vie che sbucano fuori a Lambrate. Siamo stanchi e ci fermiamo a fare la pipì al Birrificio Lambrate, che troviamo molto bello e decidiamo di tornarci presto. La città universitaria quando chiude è deserta. È un susseguirsi di edifici che dormono col vento. Ma dopo il Birrificio ricomincia a brulicare la vita fino alla stazione di Lambrate.