A quarantotto anni dalla morte di Nazim Hikmet i suoi seguaci si sono raccolti davanti al Galatasaray Lisesi per commemorarlo, stendendo le sue gigantografie sul selciato, coprendole di garofani rossi, distribuendo fogli con le sue poesie e suonando canzoni. Io li ho colti nel momento in cui suonavano çav bella, la versione turca di bella ciao. Perché, per chi non lo sapesse, Hikmet, oltre ad essere un grande poeta, era anche un grande comunista, che continua a ispirare giovani masse di rivoluzionari come quelli del Tkp, il partito comunista turco, appunto.
Lo stesso partito ha fra i suoi punti di riferimento principali proprio il Nazim Hikmet Kültür Merkezi (centro culturale), dove si trovano libri su ogni rivoluzione e le magliette con il logo "Boyun eğme" -non chinare la testa- che spunta ormai ovunque, muri, manifesti e persone. Nei volantini che distribuiscono, fra le altre, si può trovare una suggestiva immagine del capo del governo Erdoğan che divora una coscia di pollo, accanto a quella di una rissa parlamentare.
Nella foto qui sotto, dopo aver cantato çav bella tutti si sono alzati e i bambini che vendono i cappelli ai passanti hanno distrutto una decina di garofani e calpestato le fotografie.
"..metterci nei loro panni, un'impresa snervante che non riesce mai perfettamente." C.Geertz
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lunedì 6 giugno 2011
mercoledì 14 aprile 2010
Barış hemen şimdi!
Cosa ci faccio seduta per terra in piazza Taksim a scandire slogan per la causa curda?
Lunedì Ahmet Türk è stato vittima di un attacco fascista. Allora eccomi con l'aiuto del dizionario a decifrare i motti. E a ripeterli a mia volta. Donne voluminose sollevano un braccio e distendono indice e medio e danno del fascista allo Stato, all'AKP e ai lupi grigi. Urlano “indipendenza”. Stefania è di fianco a me e dice: “Guardare queste donne qui in questo momento e ripensare a quello che possono aver passato mi mette i brividi”. Stefania ha partecipato ad un'inchiesta sociologica in giro per le famiglie curde del quartiere di Kayışdağı, e ha ascoltato troppe volte i loro racconti di arresti, soprusi, torture e uccisioni. “In ogni famiglia c'è un dramma.”
Gli uomini orgogliosi che rigirano il tasbih oggi chiedono le dimissioni del governatore di Samsun.
Perché non ha fatto niente per evitare che un gruppo di esaltati riuscisse a raggiungere con un pugno il naso di Ahmet Türk rompendoglielo. La polizia stava a guardare.
La gente è in piazza e chiede la pace, subito! E intanto, una simile protesta, in un'altra città, ha portato alla morte un ragazzino di 14 anni. L'immagine della madre che tiene in una mano le scarpe del figlio sembra aver colpito particolarmente i quotidiani che riportano tutti la stessa foto.
Ad un certo punto dalla moschea adiacente la piazza, il muezzin, che fino a pochi attimi prima sedeva quieto accanto alla finestrella ad osservare la folla, intona il suo richiamo alla preghiera. Allora i manifestanti si siedono, in silenzio, e aspettano che finisca. Finalmente riesco a guardare la dimensione dell'assembramento, per un attimo, prima che qualcuno mi tiri per un braccio e mi ordini di sedermi. Poi l'idea dell'adunata sediziosa pare piacere e il servizio d'ordine gira fa i manifestanti invitandoli a mantenere seduti. Di fronte alla folla ci sono una quindicina di cameramen e fotografi. Dietro di loro i poliziotti. Molti. E due panzer. Uno di loro ad un certo punto accende il motore e si muove verso la folla. Poi si ferma e rimane lì, a sporcare l'aria, col motore acceso. “Siamo tutti curdi, siamo tutti Ahmet Türk”, rispondono loro. Incontriamo un amico, Yakup, appena uscito dall'università. Si siede con noi e ci aiuta a capire gli slogan. Gli chiediamo: “Come stai?” e lui serissimo: “Bene, ma arrabbiato.”
Nel Dicembre dello scorso anno, a Bulanık, nella regione del lago di Van, due uomini furono uccisi dai colpi d'arma da fuoco di un negoziante esasperato dalla folla in protesta per la chiusura del DPT Demokratik Toplum Partisi, partito filo-curdo accusato di avere contatti con il PKK.
In questi giorni si sta svolgendo a Samsun, sul mar Nero, il processo mosso nei suoi confronti. Ahmet Türk, leader del disciolto partito, si trovava lì come osservatore e aveva appena rilasciato una dichiarazione alla stampa.
Lunedì Ahmet Türk è stato vittima di un attacco fascista. Allora eccomi con l'aiuto del dizionario a decifrare i motti. E a ripeterli a mia volta. Donne voluminose sollevano un braccio e distendono indice e medio e danno del fascista allo Stato, all'AKP e ai lupi grigi. Urlano “indipendenza”. Stefania è di fianco a me e dice: “Guardare queste donne qui in questo momento e ripensare a quello che possono aver passato mi mette i brividi”. Stefania ha partecipato ad un'inchiesta sociologica in giro per le famiglie curde del quartiere di Kayışdağı, e ha ascoltato troppe volte i loro racconti di arresti, soprusi, torture e uccisioni. “In ogni famiglia c'è un dramma.”
Gli uomini orgogliosi che rigirano il tasbih oggi chiedono le dimissioni del governatore di Samsun.
Perché non ha fatto niente per evitare che un gruppo di esaltati riuscisse a raggiungere con un pugno il naso di Ahmet Türk rompendoglielo. La polizia stava a guardare.
La gente è in piazza e chiede la pace, subito! E intanto, una simile protesta, in un'altra città, ha portato alla morte un ragazzino di 14 anni. L'immagine della madre che tiene in una mano le scarpe del figlio sembra aver colpito particolarmente i quotidiani che riportano tutti la stessa foto.
Ad un certo punto dalla moschea adiacente la piazza, il muezzin, che fino a pochi attimi prima sedeva quieto accanto alla finestrella ad osservare la folla, intona il suo richiamo alla preghiera. Allora i manifestanti si siedono, in silenzio, e aspettano che finisca. Finalmente riesco a guardare la dimensione dell'assembramento, per un attimo, prima che qualcuno mi tiri per un braccio e mi ordini di sedermi. Poi l'idea dell'adunata sediziosa pare piacere e il servizio d'ordine gira fa i manifestanti invitandoli a mantenere seduti. Di fronte alla folla ci sono una quindicina di cameramen e fotografi. Dietro di loro i poliziotti. Molti. E due panzer. Uno di loro ad un certo punto accende il motore e si muove verso la folla. Poi si ferma e rimane lì, a sporcare l'aria, col motore acceso. “Siamo tutti curdi, siamo tutti Ahmet Türk”, rispondono loro. Incontriamo un amico, Yakup, appena uscito dall'università. Si siede con noi e ci aiuta a capire gli slogan. Gli chiediamo: “Come stai?” e lui serissimo: “Bene, ma arrabbiato.”
Nel Dicembre dello scorso anno, a Bulanık, nella regione del lago di Van, due uomini furono uccisi dai colpi d'arma da fuoco di un negoziante esasperato dalla folla in protesta per la chiusura del DPT Demokratik Toplum Partisi, partito filo-curdo accusato di avere contatti con il PKK.
In questi giorni si sta svolgendo a Samsun, sul mar Nero, il processo mosso nei suoi confronti. Ahmet Türk, leader del disciolto partito, si trovava lì come osservatore e aveva appena rilasciato una dichiarazione alla stampa.
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