Esiste il blocco dell'antropologo? Se
esiste, corrisponde a quell'incapacità di prendere la decisione di
uscire e andare a casaccio nel luogo dove farò la ricerca, per
vedere se vedrò quello che sto cercando, se ha senso quello che sto
cercando per qualcun altro all'infuori di me. E con chi parlerò di
preciso e da quale posizione? Quasi sempre, quando dico cosa faccio,
la gente non capisce, oppure, se sorprendevolmente dice “Ah, sì,
l'antropologia!” poi aggiunge poco dopo qualcosa come “C'entra
con l'anatomia, no?”.
Io decido allora di spiegare nel
dettaglio cosa mi interessa: come cambia lo stile di vita, il modo di
abitare in una casa delle persone, quando sono costrette a cambiare
dall'alto, da un attore istituzionale, quando il loro paesaggio
cambia senza che possano detenere il controllo di questo cambiamento.
Oppure più semplicemente dico “Un po' come la sociologia”. Ma
naturalmente non è così immediato come presentarsi in modo chiaro e
scevro da dubbi con qualcosa come “Lavoro per la Trt (tv) e faccio
un documentario su Fikirtepe e Sulukule” o “Sono una giornalista”
o “Sono l'ispettrice governativa per i lavori di demolizione
dell'area”.
Insomma, sarà anche per una mia indole
un po' introversa, quella mattina non ce la facevo proprio a
decidermi. Come arrivo lì, quando scendo dall'autobus dove vado,
cosa chiedo. Avevo deciso di fare visita alla Roman Kültürünü
Geliştirme ve Dayanışma Derneği (l'Associazione di Solidarietà e
Sviluppo della Cultura Rom), nella persona del suo presidente Şükrü
Pündük, al quale avevo già scritto un'e-mail ma non mi aveva
risposto. Indirizzo in tasca, registratore in borsetta, trovavo mille
scuse per non staccarmi dalla sedia. Intanto si faceva tardi e il
ritardo aggiungeva un motivo in più per non muovermi. Alla fine,
alle 14:10, riesco finalmente a varcare la porta di casa. In due ore
potrei essere là, se non trovo più nessuno nell'ufficio, almeno
saprò dov'è e sarà più facile ritornarci, mi sono detta. Questo
aveva funzionato per Fikirtepe: dopo una visita veloce e anonima,
avevo imparato la strada principale ed è stato facile e disinvolto
tornarci per incontrarmi con Ercument di Fidem.
Una nota sul modo di dare l'indirizzo
in Turchia: si va in ordine incrociato di precisazione di un luogo:
la strada principale, la strada secondaria, il numero civico, il
quartiere, la municipalità, la città. La strada secondaria si
chiamava semplicemente “viale Lungo le Mura” (Kaleboyu caddesi).
Scesa dall'autobus a Edirnekapı, dunque è stata questa la prima
cosa che chiedevo. Naturalmente tutti mi mandavano verso le mura di
Teodosio, ma la strada non si chiamava così! Un'altra nota di campo:
cercavo di chiedere e interagire con le donne, perché mi sono
accorta che parlo quasi sempre con uomini, e questo è strano nella
storia dell'etnografia. Mi sono chiesta perché e mi sono resa conto
di avere un certo timore nei confronti della donna velata, totalmente
irrazionale, mi rendo conto, e della gioventù femminile o maschile
in generale. Per questo spesso mi rivolgo agli uomini sopra i
quaranta, ed è con loro che per la maggior parte avvengono i miei
scambi. Forzandomi su questo punto dunque, ho scoperto quanto invece
dietro quegli sguardi severi si schiuda immediatamente solidarietà:
le donne a cui ho chiesto la direzione hanno preso a cuore la mia
quête e si preoccupavano che
la trovassi, o che potessero indirizzarmi presso qualcuno che potesse
aiutarmi. Il mio cuore indurito si riscaldava e cominciavo a sentirmi
a mio agio nell'ambiente. Mi ritrovo comunque accompagnata da un
signore affabile a cui tutti porgono i loro omaggi e rispetto. Gli
chiedo se per caso sia il muhtar,
lui mi risponde con una battuta che non capisco e non insisto. Alla
fine, dato che nessuno sembrava saperne niente di questa Kaleboyu
caddesi, avevo chiesto direttamente dove si trovasse l'associazione.
Allora tutti mi mandavano “dove ci sono i Rom”. Arrivata alla
Sulukule infranta e ricostruita, sono “dove ci sono i Rom”.
Chiedo di nuovo a una donna, che chiama la vicina e insieme
collaborano per indicarmi la strada giusta. Ma loro non sono Rom e
non ne sanno granché. Scendo per la strada, trovo un angolo vivace
con una piccola moschea e due kahvehane,
e la gente tutta riversata di fuori. Un simpatico vecchietto mi urla
mentre parla perché sono straniera, e crede che stia cercando i Rom
perché fanno la musica. Allora mi indica una casa dove ci sono dei
ragazzini che suonano. Ma pare che io adesso mi metta a suonare alle
case della gente? Fingo di andare un po' su, riparlo con le due donne
di prima, ritorno giù. Il signore è lì che mi aspetta e urla
“Trovato?”. Io replico che non è quello che sto cercando, lo
ringrazio e vado oltre. Si forma come una catena di persone che mi
indicano la strada, attraverso le quali passo e arrivo ad un
negozietto, il cui proprietario telefona a Şükrü Pündük, me lo
passa e mi dice che posso andare a trovarlo nel caffé tal dei tali,
che si trova proprio in quell'angolo, era una delle due kahvehane,
davanti a cui
il signore di prima mi urlava, signore che ritrovo, mi lascia vagare
ancora un po', poi dice “Lo chiamo, Şükrü?”. Mi stupisco che
tutti abbiano il suo numero di telefono. Ho trovato Şükrü. Mi
aspetto quasi che tutto il vicinato esulti insieme a me in un
applauso, e io ringrazi tutti per la collaborazione. Şükrü e Özkan
sono immediatamente accoglienti. Mi fanno sedere, mi ordinano un té.
Sono ancora nello spazio maschile, in una kahvehane.
Lo so che non è normale, che sono fuori dal tessuto sociale, dalla
logica degli abitanti. Ci sediamo sul retro, dove il mio registratore
può agire senza troppi disturbi e parliamo per un'ora e mezza.
Quando esco mi viene in mente che forse l'indirizzo “viale Lungo le
Mura” non è un toponimo ufficiale, che risulta dalla cartografia
della città, ma un modo semplice, logico per chiamare una strada che
corre effettivamente lungo le mura. Mi delizia il pensiero che quel
toponimo sia stato fornito in un contesto più o meno ufficiale (sito
internet della rete di associazioni Rom europee), ma che in realtà
presuppone un'interazione con chi abita il luogo o forse solo un po'
più intuito di me.
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