lunedì 2 dicembre 2013

Antropologa lungo le mura di casa


Esiste il blocco dell'antropologo? Se esiste, corrisponde a quell'incapacità di prendere la decisione di uscire e andare a casaccio nel luogo dove farò la ricerca, per vedere se vedrò quello che sto cercando, se ha senso quello che sto cercando per qualcun altro all'infuori di me. E con chi parlerò di preciso e da quale posizione? Quasi sempre, quando dico cosa faccio, la gente non capisce, oppure, se sorprendevolmente dice “Ah, sì, l'antropologia!” poi aggiunge poco dopo qualcosa come “C'entra con l'anatomia, no?”.
Io decido allora di spiegare nel dettaglio cosa mi interessa: come cambia lo stile di vita, il modo di abitare in una casa delle persone, quando sono costrette a cambiare dall'alto, da un attore istituzionale, quando il loro paesaggio cambia senza che possano detenere il controllo di questo cambiamento. Oppure più semplicemente dico “Un po' come la sociologia”. Ma naturalmente non è così immediato come presentarsi in modo chiaro e scevro da dubbi con qualcosa come “Lavoro per la Trt (tv) e faccio un documentario su Fikirtepe e Sulukule” o “Sono una giornalista” o “Sono l'ispettrice governativa per i lavori di demolizione dell'area”.
Insomma, sarà anche per una mia indole un po' introversa, quella mattina non ce la facevo proprio a decidermi. Come arrivo lì, quando scendo dall'autobus dove vado, cosa chiedo. Avevo deciso di fare visita alla Roman Kültürünü Geliştirme ve Dayanışma Derneği (l'Associazione di Solidarietà e Sviluppo della Cultura Rom), nella persona del suo presidente Şükrü Pündük, al quale avevo già scritto un'e-mail ma non mi aveva risposto. Indirizzo in tasca, registratore in borsetta, trovavo mille scuse per non staccarmi dalla sedia. Intanto si faceva tardi e il ritardo aggiungeva un motivo in più per non muovermi. Alla fine, alle 14:10, riesco finalmente a varcare la porta di casa. In due ore potrei essere là, se non trovo più nessuno nell'ufficio, almeno saprò dov'è e sarà più facile ritornarci, mi sono detta. Questo aveva funzionato per Fikirtepe: dopo una visita veloce e anonima, avevo imparato la strada principale ed è stato facile e disinvolto tornarci per incontrarmi con Ercument di Fidem.
Una nota sul modo di dare l'indirizzo in Turchia: si va in ordine incrociato di precisazione di un luogo: la strada principale, la strada secondaria, il numero civico, il quartiere, la municipalità, la città. La strada secondaria si chiamava semplicemente “viale Lungo le Mura” (Kaleboyu caddesi). Scesa dall'autobus a Edirnekapı, dunque è stata questa la prima cosa che chiedevo. Naturalmente tutti mi mandavano verso le mura di Teodosio, ma la strada non si chiamava così! Un'altra nota di campo: cercavo di chiedere e interagire con le donne, perché mi sono accorta che parlo quasi sempre con uomini, e questo è strano nella storia dell'etnografia. Mi sono chiesta perché e mi sono resa conto di avere un certo timore nei confronti della donna velata, totalmente irrazionale, mi rendo conto, e della gioventù femminile o maschile in generale. Per questo spesso mi rivolgo agli uomini sopra i quaranta, ed è con loro che per la maggior parte avvengono i miei scambi. Forzandomi su questo punto dunque, ho scoperto quanto invece dietro quegli sguardi severi si schiuda immediatamente solidarietà: le donne a cui ho chiesto la direzione hanno preso a cuore la mia quête e si preoccupavano che la trovassi, o che potessero indirizzarmi presso qualcuno che potesse aiutarmi. Il mio cuore indurito si riscaldava e cominciavo a sentirmi a mio agio nell'ambiente. Mi ritrovo comunque accompagnata da un signore affabile a cui tutti porgono i loro omaggi e rispetto. Gli chiedo se per caso sia il muhtar, lui mi risponde con una battuta che non capisco e non insisto. Alla fine, dato che nessuno sembrava saperne niente di questa Kaleboyu caddesi, avevo chiesto direttamente dove si trovasse l'associazione. Allora tutti mi mandavano “dove ci sono i Rom”. Arrivata alla Sulukule infranta e ricostruita, sono “dove ci sono i Rom”. Chiedo di nuovo a una donna, che chiama la vicina e insieme collaborano per indicarmi la strada giusta. Ma loro non sono Rom e non ne sanno granché. Scendo per la strada, trovo un angolo vivace con una piccola moschea e due kahvehane, e la gente tutta riversata di fuori. Un simpatico vecchietto mi urla mentre parla perché sono straniera, e crede che stia cercando i Rom perché fanno la musica. Allora mi indica una casa dove ci sono dei ragazzini che suonano. Ma pare che io adesso mi metta a suonare alle case della gente? Fingo di andare un po' su, riparlo con le due donne di prima, ritorno giù. Il signore è lì che mi aspetta e urla “Trovato?”. Io replico che non è quello che sto cercando, lo ringrazio e vado oltre. Si forma come una catena di persone che mi indicano la strada, attraverso le quali passo e arrivo ad un negozietto, il cui proprietario telefona a Şükrü Pündük, me lo passa e mi dice che posso andare a trovarlo nel caffé tal dei tali, che si trova proprio in quell'angolo, era una delle due kahvehane, davanti a cui il signore di prima mi urlava, signore che ritrovo, mi lascia vagare ancora un po', poi dice “Lo chiamo, Şükrü?”. Mi stupisco che tutti abbiano il suo numero di telefono. Ho trovato Şükrü. Mi aspetto quasi che tutto il vicinato esulti insieme a me in un applauso, e io ringrazi tutti per la collaborazione. Şükrü e Özkan sono immediatamente accoglienti. Mi fanno sedere, mi ordinano un té. Sono ancora nello spazio maschile, in una kahvehane. Lo so che non è normale, che sono fuori dal tessuto sociale, dalla logica degli abitanti. Ci sediamo sul retro, dove il mio registratore può agire senza troppi disturbi e parliamo per un'ora e mezza. Quando esco mi viene in mente che forse l'indirizzo “viale Lungo le Mura” non è un toponimo ufficiale, che risulta dalla cartografia della città, ma un modo semplice, logico per chiamare una strada che corre effettivamente lungo le mura. Mi delizia il pensiero che quel toponimo sia stato fornito in un contesto più o meno ufficiale (sito internet della rete di associazioni Rom europee), ma che in realtà presuppone un'interazione con chi abita il luogo o forse solo un po' più intuito di me.

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