Questo post è uscito già qualche giorno fa su Q Code Mag, che ospiterà i miei scritti a intervalli di una decina di giorni. Vi invito ad esplorare altri interessantissimi contributi fornendovi il link: www.qcodemag.it. Kız Reporter è nella sezione dedicata ai blog.
Mulime si vergogna un po'
ma ci fa entrare volentieri; si scusa sorridendo e dicendo: “È una
casa di poveri”. Mesut, che fa il guardiano per la compagnia edile
di questo cantiere, dice sarcasticamente che questi hanno vinto la
lotteria. Da poveri e ignoranti abitanti semi-abusivi di gecekondu
si ritrovano proprietari di appartamenti lussuosissimi in una di
quelle che stanno per diventare le zone più pregiate della città.
Alcuni ricevono anche più di un appartamento in funzione della
grandezza del terreno e della famiglia.
Orhan
però venderà gli appartamenti che gli spettano e se ne andrà a
vivere ad Adapazarı, fuori Istanbul, dove vivono i parenti della
moglie, Şefika. Là c'è la casa che assomiglia a quella in cui
immagina di poter vivere: unico piano (terreno), un giardino con
alberi da frutta, dove si può bere il tè e ricevere gli ospiti.
Dove può tenere i suoi canarini (ne ha due nel soggiorno) e anche un
cane. Nella nuova Fikirtepe non potrebbe mai vivere. La moglie è
velata e loro sono molto religiosi. Come fanno ad abitare in un posto
dove la gente va in piscina mezza nuda e si vanno a far fare i
massaggi. “Ci vergogneremmo. Inoltre da qui alla fine della strada
saluto e scambio due parole con almeno cinquanta persone. Con questi
appartamenti, ognuno il suo, con chi parlo? Io ho bisogno di una casa
che apro la porta e sono subito in strada, vicino alla gente.”
Orhan
ha le idee così chiare e questo mi aiuta molto. In molte delle
persone che intervisto c'è quella sospensione, quell'incapacità di
raccontare di sé, della propria casa e del proprio quartiere come
era prima, e di immaginare quello che sarà dopo. Mulime, dalla sua
casa che si affaccia sul vuoto creato dalle ruspe, in riga con le
altre case a cui tocca la prossima demolizione, non sa nemmeno di
preciso quando inizieranno i lavori, né dove andrà temporaneamente
in affitto. Ha circa sessantacinque-sessant'anni e vive con il marito
Hasan.
Il
padre di Orhan ha novant'anni, non capisce bene, ma conosce
l'espressione kentsel dönüşüm
(trasformazione urbana), usata dal figlio per spiegare cosa ci
facciamo in casa sua. La casa l'ha costruita lui, che ha partecipato
alla “guerra tedesca” e di cui nel salotto c'è una foto di
quando aveva ventidue anni con il fez e i calzari e gli şalvar.
Me lo
immagino nei diversi spostamenti: da casa sua a chissà dove in
affitto per due o tre anni, poi nella lussuosa casa del suo quartiere
trasfigurato in attesa di essere venduta, poi finalmente ad
Adapazarı, nel suo grande giardino a bere tè e sgridare il cane. Me
lo immagino chiedere lentamente con un filo di voce, come aveva fatto
di fronte a me e a un amico fotografo di passaggio a Fikirtepe,
seduti di fronte a lui con i nostri apparecchi neri in mano: “Ne
için? Per che cosa?”
Invece
Husein proprio non capisce la mia domanda quando gli chiedo: “Ma
non sarà un po' difficile per le persone anziane?” Riformulo tre
volte pensando che sbaglio qualcosa con la lingua, poi mi rendo conto
che non riesce proprio a capire quale possa essere il problema.
Eppure racconta che, essendo lui stesso costruttore ed essendosi
costruito da sé la propria casa, non è riuscito a guardare mentre
la demolivano, perché sarebbe stato troppo doloroso.
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