venerdì 15 novembre 2013

Ritorno a Sulukule


Oggi ho scoperto le mille risorse della mia giovanissima coinquilina Zeynep. Mi ha accompagnato nel mio ritorno a Sulukule (quartiere a ridosso – esternamente – delle mura di Teodosio, che delimitano la città ottomana a sud del Corno d'Oro, sulla costa Europea) tre anni dopo che è stata completamente rasa al suolo, e cancellata. Dato che non esiste nemmeno più come toponimo ufficiale. Esistono però gli ex-abitanti. Zeynep si fermava ad ogni crocicchio, ad ogni büfe, per chiedere appunto che cosa ne fosse di loro, gli eski Sulukuleliler. Dove erano andati a vivere? Si erano trasferiti tutti in un posto? Erano andati ad abitare nelle nuove abitazioni, sorte al posto delle case di legno e dei gecekondu? Zeynep scatta veloce sulle strade in salita, e io, con il peso della mia trentina e la fotocamera e l'esigenza di guardarmi attorno, sono un po' ansimante. Sulla via vediamo parcheggiato un furgone della İnsani Yardım Vakfı, l'associazione che ha promosso il viaggio della Mavi Marmara nel 2010 per portare sollievo alle popolazioni della Striscia di Gaza, faccenda che è finita con l'uccisione di sette persone dell'equipaggio. Non è la prima volta che compaiono su questo blog, cliccando qui li si può apprezzare in una delle loro manifestazioni pacifiche, in questo strano connubio di gente di sinistra anticlericale e islamici fondamentalisti. Zeynep dice che in questi quartieri (Balat, Fener, Karagümrük, Fatih in generale) la presenza della tariqat è molto marcata. Certo, sono notoriamente fra i quartieri più poveri della città, e i poveri sono potenziali bravi miliziani. Prima di attraversare viale Fevzipaşa entriamo in un büfe in cui un uomo sulla quarantina sbuca da dietro una porticina, si avvolge una sciarpetta con fare modaiolo, io compro dell'acqua e Zeynep chiede. Quasi sempre io rimanevo in ascolto capendo più o meno i tre quinti e aggiungendo semmai piccole precisazioni alle domande della mia compagna; ci presentavamo come due studentesse che fanno una ricerca su come vivono i vecchi abitanti sgombrati, assicurando che non si trattava di televisione, che in questo quartiere non è ben accetta. Forse perché i reportages su Sulukule sono stati tanti, ma Sulukule non c'è più.
I vecchi abitanti si riconoscono per il colore della pelle e per alcuni tratti somatici. Sono Rom: sono scuri, hanno occhi grandi e profondi e hanno un accento delizioso. Anche il signore del büfe aveva la pelle scura e gli occhi come il mare, ma aveva questo sciarpettino annodato un po' così che aveva quel non so che di modaiolo e intellettuale. Ci indicava questa associazione, quel signore, questo caffé. Secondo me era lui stesso un attivista. Seguendo le sue indicazioni abbiamo trovato nell' O. Café M. Bey, che vuole restare anonimo, e, benché io non creda nella viralità di questo post, rispetto il suo volere. M. Bey accetta di farsi registrare la voce. Punto la fotocamera su un pacchetto di tovaglioli e registro. Gli eski Sulukuleliler non abitano certo in quelle case da un miliardo e mezzo di lire turche. A loro la municipalità, lo stato, aveva offerto, in cambio della distruzione della loro casa, un abitazione di pari valore, che certamente non poteva più essere lì. Alcuni hanno trovato casa nei distretti confinanti (Karagümrük, Ayvansaray), ma i meno fortunati sono finiti a Sultançiftliği, Taşoluk. Ad una trentina di chilometri verso l'entroterra. Come hanno ricostruito il loro quartiere, le loro abitudini, il loro paesaggio? Questo vorrebbe essere la mia ricerca. Inizio a chiederlo al guardiano della nuova Sulukule, dove stanno ancora costruendo queste belle casine di legno moderne (e acciaio) a due-tre piani, da cui escono sciabattando alcuni tipi che non sembrano proprio ricchi.




Il guardiano è subito molto scontroso, ma intanto parla, e Zeynep lo ammansisce, mentre io stavo già per voltargli le spalle e andarmene. Alla fine ci mostra le ultime case della vecchia Sulukule che verranno abbattute prossimamente.
Anche lui abita non lontano da lì. Prima lavorava come mercante al Gran Bazar, adesso fa il guardiano per il governo. Il governo, nella figura dell'istituto Toki, ha costretto queste persone a lasciare le loro case per fare posto a questo gioiellino elegante, che si vende a persone che se lo possono permettere. Ma siccome il Toki è dopotutto un organismo statale, che dovrebbe produrre edilizia sociale, allora cosa fa? Ci fa andare i rifugiati siriani, in queste case di lusso. Così salva la propria immagine e sostituisce i poveri con i poveri. E intanto fa un sacco di soldi. Il Toki, ribadisco, è un organo dello Stato, e dipende direttamente dal primo ministro, ovvero Recep Tayyip Erdogan, dell'Akp, partito islamico progressista, i “progressive conservatives”(cfr. Demir, Açar, Toprak: Anatolian Tigers or Islamic Capital). Il guardiano ci dice che tutto è finito, non ci sono nemmeno più le associazioni, i sindacati dei residenti (io non gli credo). Ci accompagna in giro per la nuova Sulukule, che ci dice verrà completamente recintata (gated community), ci fa scattare le foto che all'inizio ci aveva proibito, ci chiede dei soldini (sigara parasi) come ricompensa, ci saluta e torna al suo posto. Ottimo per un servizio per il tg della sera, ma devo ritornarci con tutta la calma della mia trentina e del mio turco stentato. Ma adesso so da dove partire.

2 commenti:

  1. Ciao,

    stavo navigando in Internet su siti dedicati alla Turchia e sono capitato sul tuo blog.

    Complimenti, è molto bello e ben curato, scusa se mi permetto.

    Se posso ricambiare, mi farebbe piacere segnalarti il mio blog,
    io disegno, se vuoi farci un giro:

    colorisonici.blogspot.com


    Ciao, buona continuazione !


    Alberto Bonacina

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    1. Grazie Alberto! E complimenti per i tuoi disegni e colori. Anch'io traggo ispirazione da piccole cose che vedo intorno.. a volte anche solo una musica, un gesto! Buona continuazione e chissà che non ci incontreremo a Milano quando torno.

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