martedì 26 novembre 2013

Cosa c'entra Fikirtepe


Ho parlato con una pianificatrice urbana coinvolta nella trasformazione di Fikirtepe. La sua agenzia si occupa della mediazione fra gli abitanti e i developers. Mi ha raccontato le fasi di evoluzione del progetto di trasformazione urbana del quartiere e i soggetti coinvolti. Al principio c'era la municipalità (belediye), poi il tutto è passato al governo metropolitano e infine al ministero dell'ambiente. Poi tutto ad un tratto i soggetti istituzionali sono scomparsi e i residenti si sono ritrovati a dover contrattare con le sole compagnie costruttrici.
Con il solito piglio patriarcale il governo aveva deciso che il quartiere doveva cambiare, senza rispondere ad un bisogno rilevato o almeno immaginato. Che poi sulla capacità di rilevazione dei “bisogni della popolazione” ci sarebbe un bel po' da dire (l'ha già detto Olivier de Sardan, o forse qualche amico suo).
Poi ha passato il testimone alle compagnie edilizie che a loro volta hanno deciso che aspetto avrebbe dovuto prendere il quartiere, e chi ci avrebbe abitato. Il ministero è poi tornato un po' sui suoi passi, ha stabilito una serie di regole e limiti, e ha chiesto l'intervento di questa agenzia di pianificatori urbani affinché elaborassero una serie di modifiche ai progetti esistenti per ridurne la megalomania e far sì che mantenessero per Fikirtepe la misura di uno spazio abitato. Questo è chiamato dall'agenzia in questione “mediazione”. Le modifiche riguardano la salvaguardia dello spazio pubblico e si attuano in misure come attraversamenti dei diversi blocchi (ada, letteralmente: “isola”) accessibili a tutti, allargamento delle strade per renderle frequentabili e socializzabili (mi ha citato la Rambla) e vie di accesso, sbocchi, verso le due fermate della metropolitana che si trovano ai piedi della collina (mi ha mostrato una foto della scalinata di piazza di Spagna).
I limiti imposti dal ministero riguardano l'altezza degli edifici, che non devono superare gli ottanta metri (e lo chiamano limite) e i ventiquattro piani. La proposta dell'agenzia è di rallentare questa corsa all'altitudine e ammorbidire lo skyline alternando edifici più bassi, in un modulo di tre tipologie per blocco. L'arredo del verde deve essere tenuto presente. La comunicabilità tra spazi è importante per creare vicinato. Ad esempio una scuola (nel piano che mi ha mostrato, un rettangolo azzurro con sopra scritto “educazione”) non può non avere un parco giochi davanti. Le chiedo che senso ha tutto questo per i vecchi abitanti, che tanto non potranno permettersi di vivere in queste case lussuosissime. 

Nuhoğlu İnşaat- Yenitepe: Living Room
Lei mi fa notare che forse non ho capito bene, che qua i vecchi abitanti non entrano più di tanto nella “mediazione”, che ormai loro sono insoddisfatti e arrabbiati per i compensi inadeguati ricevuti alla vendita dei loro terreni, frustrati per non aver trattato direttamente con il governo, ma che non è compito dell'agenzia di trovare una soluzione a queste richieste.
In sintesi, ci sono diverse idee di “buon luogo”: quella dei residenti, che andrò ad ascoltare domani; quella del governo, che nemmeno conosco, ma dubito che sia qualcosa di distinto da quella delle compagnie; quella appunto delle compagnie, che consiste nello spazzare via gli inutili residenti morti di fame che vendono tutto quello che hanno per poche lire e rimpiazzarli con persone in grado di comprare un'abitazione in edifici che 1) non danno mai le spalle alla città, grazie alla loro forma triangolare 2) sono visibili da tutta la città e in ogni punto puoi indicare dove abiti 3) ti puoi rilassare dallo stress del giorno approfittando delle diverse facilities come massaggi e piscine 4) non importa quanto è grande il tuo appartamento, tutto è disegnato per il tuo lusso/lussuria 5) ti senti privilegiato ancora prima di entrare nel tuo quartiere (tratto dalla presentazione del progetto della compagnia Nuhoğlu, vedi link). Infine l'idea dei mediatori, che si propongono e si rappresentano come correttori della spavalda proposta dei costruttori, come elemento di ritorno alla normalità.
Sono idee di bellezza, di bontà di uno spazio che convergono, si scontrano, si concretizzano.
Una catastrofe, dal mio punto di vista. Come non se ne siano resi conto quelli di Gezi Parkı, per me ha ancora dell'incredibile. Parlando dei “fatti di Gezi” con due amici che abitano nell'ipercentro della città, in una via che praticamente sbocca su piazza Taksim, me ne faccio un'idea. Accanto a Taksim, alla scintillante Beyoğlu, c'è la distesa disordinata e storta di Tarlabaşı, abitata da Rom, interessata anch'essa da un progetto di trasformazione. Loro mi dicono che sarebbe meglio se la ricerca la facessi lì. Perché, dicono, è più centrale, più visibile, più accessibile. A parte che tutto ciò tradisce la relatività del loro punto di vista. Perché non c'è niente di così visibile come Fikirtepe, che pare offerta alla vista dei passanti. E poi tutta la vita di Istanbul non si consuma a Taksim, benché chi vi abita sia indotto a pensarlo. Il mio amico dice: “Io per esempio a Fikirtepe non ci vado. E neanche a Sulukule. Ma nemmeno a Tarlabaşı. E che ci andrei a fare?” L'arroganza, se così si può chiamare, in attesa di un termine migliore, di chi abita in centro, che stabilisce quale luogo vale la pena e quale no. Gezi Parkı è in centrissimo, e ha attirato e attivato la gente del centro. Poi naturalmente il movimento è cresciuto. Ma Gezi Parkı era un parco bruttissimo, fatto per la gente che sta per partire, una sosta. Eppure è stato capace di muovere i cuori e le coscienze. Che dire, la potenza del centro. O la sua pigrizia. Ma riprenderò questo discorso abbozzato male.

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