mercoledì 13 novembre 2013

Un mezzo di trasporto lentissimo


Oggi sono andata a fare un giro di ricognizione (l'espressione non mi piace, ma si addice) in uno dei tre luoghi in cui si svolgerà la mia ricerca: il quartiere di Fıkırtepe. È un mahalle che fa parte della municipalità di Kadıköy, si dispiega su un'altura dalla moderata pendenza che si affaccia sulla tangenziale di Istanbul (çevreyolu). Tutto ciò lo rende ben visibile, è in mostra. É un'ottima vetrina, oserei. Il quartiere è interessato da un progetto di rinnovamento che prevede l'acquisizione dei terreni dai più o meno legittimi proprietari da parte di alcune imprese di costruzione (sto studiando i dettagli del chi e del come) per la costruzione di abitazioni moderne, antisismiche e alte, che andranno a sostituire le case abusive (kaçak), i cosiddetti gecekondu. Il modo in cui viene gestita, vissuta, subita questa privazione di abitazione sarà oggetto della mia ricerca.
Ho deciso di andarci a piedi. Da casa mia (Ümraniye) Googlemaps indicava un percorso di circa sette chilometri, che prevedeva l'attraversamento di due autostrade e due volte la tangenziale (ci sono i ponti pedonali). Ho deciso di usare i piedi perché 1) volevo sperimentare questo mezzo di trasporto a Istanbul, dove l'ho usato più che altro in modalità passeggiata 2) volevo ripetere il percorso dell'autobus dandomi l'opportunità di adeguare l'andatura all'interesse suscitato dai luoghi 3) volevo entrare in unione mistica con la strada, soffrendo sopra i miei calcagni della distanza che mi iniettava (questa davvero non è da prendere sul serio) 4) volevo arrivare lentamente a Fikirtepe perché mi sembrava poco opportuno piombare lì scendendo da un autobus e iniziare a camminare, come si fa oggi con gli aerei, e volevo che arrivando lì avrei assorbito bene lo status della camminatrice (ma la prossima volta prendo l'autobus e scendo un po' prima).
Abituata alla logica dell'autobus, la prima parte della passeggiata è stata principalmente uno strisciare lungo le muraglie dei nodi stradali principali, con la fastidiosa sensazione di rischiare di morire. Poi per fortuna mi sono persa (mi ero scritta delle indicazioni, non avevo una mappa) e ho cominciato a chiedere la direzione (chiedevo sempre tappe intermedie, per non destare sconcerto). “Trovare un indirizzo in una città significava trovare la contrada, il cortile, il campo, e poi domandare ancora. Domandare faceva parte dell'ingresso, dei riti d'ingresso di un estraneo in una contrada non sua” (La Cecla, Perdersi, pag 32). Ho così dato accesso allo stupore. Fino a ritrovare la strada che mi ero prefissata. Sono salita fino a Küçük Çamlıca, dove ho scattato queste foto. 




Poi sono ridiscesa al di là della collina passando per Acıbadem, quartiere borghese e benestante (ci sono perfino disegnate le strisce che delimitano la carreggiata). Sono scesa giù per la strada del Ceceno 

e mi sono trovata in questo posto qua.
La qualità della foto rivela la mia inquietudine
Ciò che mi ha colpito immediatamente era il silenzio. Poi la mancanza di segni per gli umani, come strisce pedonali, fermate dell'autobus, ponti pedonali. Il luogo era immenso e vuoto, e non sapevo davvero come potermici muovere. Ho domandato all'addetto alla sicurezza di questo grande complesso come fare per arrivare a Fıkırtepe, che ormai vedevo dispiegato sulla sua bella collina. Anche lui ha dovuto chiedere al suo collega. Ho dovuto tornare indietro di un bel pezzo e ridiscendere per un sottopassaggio davanti ad un centro commerciale in costruzione.

Tutto era mastodontico, muto e mi ammutoliva. Mi ha fatto venire in mente la parola che ha usato il mio professore turco per descrivere questa architettura, azman, enorme, e che mi ha spiegato in inglese prendendo come esempio le proporzioni di un bebè fra il corpo e la sua testa. Mi ha detto: “Immagina che quel bambino diventi adulto mantenendo queste proporzioni. Sarebbe mostruoso.” Io stessa mi ero riferita a questa architettura parlando di proporzioni: essa non è proporzionata alla misura dell'uomo e dello spazio che può avere a sua disposizione. Questi spazi sono troppo grossi, sono sovradimensionati. Almeno per l'uomo che va a piedi. Forse va bene chi va con il suv (esso stesso sovradimensionato). Sbucata fuori dal tunnel ho visto un minareto. Il muezzin stava chiamando. Questo è stato di sollievo dalla mia inquietudine. Ero tornata nel mondo degli uomini. Tra l'altro ho riconosciuto un luogo, quello dove il martedì si svolge lo storico mercato del martedì, appunto (Sali Pazar), che quando è vuoto come lo era oggi viene usato e attraversato in modo molto attivo: bambini che giocano, motociclisti che provano uno slalom. Ho circumcamminato l'area, ho svoltato a sinistra, ed eccomi a Fıkırtepe. Erano ormai le 18 circa. Contando una mezz'ora di pausa, ci ho messo circa tre ore. Era buio. Ho deciso di rimanere sulla strada principale. Ho apprezzato i microspazi, le locande ricavate in un angolo fra una scala e un garage, i balconi, le salite, i muretti, i giardini. Dei bambini giocavano a calcio in uno spiazzo davanti ad un negozio chiuso, con le vetrine ricoperte dalla pubblicità dei nuovi grattacieli, dove probabilmente ci saranno campi da gioco dietro a cancelli e non saranno più visibili. La vita della strada verrà risucchiata all'interno, nei cortili funzionali, nei salotti moderni, nei garage sotterranei. I büfe saranno al piano terra di questi grandi palazzi, fatti di cemento e acciaio. Non ci saranno più queste case che oggi in un articolo ho trovato definite çarpık, storte. Chissà poi perché a me piacciono tanto, che cos'è questo scarto estetico, cosa mi sfugge. Cerco di capire l'estetica promossa. Il mantra è quello della prevenzione anti-sismica. I terremoti qui hanno lasciato ferite indelebili e sono materiale emotivo facile da manovrare.
I negozi espongono le mercanzie sul marciapiede. Vedo una sedia stile anni '50 riparata con due tubi d'acciaio, d'accurata fattura. Ma il legno sostenuto dall'acciaio sembra un vecchietto con due stampelle nuove di zecca. L'acciaio dovrebbe impreziosire il legno, invece lo immiserisce. Cemento e acciaio. Legno e acciaio. L'acciaio è la chiave della modernità.
Svolto per una via laterale che mi conduce verso Göztepe, da cui prendo un autobus che mi riporta a casa.

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