Migliaia di turchi radunati a Parigi, migliaia di turchi radunati a Istanbul. Trova le differenze.
I primi protestano contro la legge approvata alla camera e che sarà in senato lunedì che stabilisce che negare il genocidio armeno del 1915 è un reato. "Non si sono mai visti tanti turchi tutti insieme" ammette il presidente di un'organizzazione culturale turco-parigina.
I secondi commemorano un omicidio, quello di Hrant Dink, giornalista turco-armeno, direttore di Agos, vittima di un'aggressione a Istanbul nel 2007, il cui lungo processo si è concluso in questi giorni, e che inverosimilmente rintraccia come unici responsabili l'allora diciassettenne Oğun Samast e il suo istigatore Yasin Hayal.
I partecipanti gridano tutti insieme "Siamo tutti Hrant Dink, siamo tutti armeni" in turco, in armeno, in curdo...col cuore gonfio aspettano che sia fatta giustizia, che siano riconosciute le vere responsabilità dell'omicidio. Che si possa davvero considerare concluso il processo.
Ha parlato di giustizia in Turchia anche il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa Thomas Hammarberg, riferendosi proprio al caso Dink, in particolare alla sproporzione tra le forze impiegate per la detenzione dei sospetti nel caso Ergenekon e la facilità con cui sono stati rilasciati gli imputati del processo Dink, ben 19.
Il commissario paventa un possibile intervento della Corte Europea dei diritti umani se la Turchia non farà qualcosa per limitare il peso dello stato sulla giustizia.
In effetti sembra che le politiche degli ultimi tempi vadano in senso diametralmente opposto, soprattutto a partire dalla svolta rappresentata dalle recenti riforme costituzionali promosse dal governo Erdoğan.
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