Stavolta il pretesto è di tornare da
porta Venezia senza passare per corso Buenos Aires, allora si decide
di tentare la logica della via parallela, e si finisce per venire
risucchiati da incroci inediti, abbinamenti inaspettati e incontri
che ti costringono a zigzagare incessantemente, senza pietà per le
proprie gambe, ormai provate da una giornata di lavoro, di fronte
alle quali ci si giustifica solo invocando la necessità che il
turismo sia capillare.
Poniamo il caso che siamo stati allo
Spazio Oberdan e ci siamo diretti verso la metropolitana. Scopriamo
un'enorme piazza sotterranea dove combriccole di ragazzini provano
coreografie di gruppo o passi di break dance. Giriamo intorno
e li guardiamo tutti facendo oscillare la testa a ritmo di musica.
Fino a che ci ritroviamo di nuovo all'imboccatura della
metropolitana, lo prendiamo come un invito e decidiamo di tornare a
piedi. Di fronte allo spazio Oberdan c'è una libreria antiquaria con
libri illustrati bellissimi, tra cui un Pinocchio, una Storia della
Pizza, un Libro della Giungla.
Ma noi ci sentiamo richiamati dal
campanellìo degli aperitivi dei bar su via Vittorio Veneto. Sfiliamo
lungo le vetrine che mostrano piatti ricolmi di cibo e infilandoci
fra il via vai di camerieri e tavolini passiamo oltre. Al primo
incrocio svoltiamo verso la linearità e la sobrietà della distesa
di vie perpendicolari che ci si apre davanti. Una volta questo era il
Lazzaretto, di cui rimane ancora oggi la chiesetta ottagonale di San
Carlo (al Lazzaretto, appunto). Se prima ci venivano a macinare la
loro sorte i malati di peste e di lebbra, oggi è un fiorire di
negozi e attività composite e accattivanti. Ci sono il negozio di
dischi Nashville con la vetrina tappezzata di autografi di artisti
passati per Milano, c'è il negozio di b-movies con tutto il cinema
dalla B alla Zeta, ma soprattutto c'è la musica.
Ci sono negozi,
call center, ristoranti e take-away che portano i nomi delle capitali
di Eritrea ed Etiopia. Da Asmara TelePhone un uomo sta suonando una
specie di cetra verniciata di nero e tenuta insieme da un nastro
isolante. Ci invita ad entrare. Ci suona due pezzi che ci spiega
essere musica suonata nei matrimoni: il genere si chiama Eros, lo
strumento krar, a sei corde. Di solito è accompagnato dalle
percussioni e tutti ballano. Ci mostra anche il vestito bianco
tradizionale della sposa, appeso e incellophanato ad una parete di
quello che sembrava essere solo un call-center. Mi pento di aver
detto di sapere come funziona una chitarra perché l'uomo decide di
mettermi in mano il suo krar e mi invita a suonarlo. Non ha i
tasti e le note si individuano premendo le dita sulle corde sospese,
non appoggiate al manico, mentre la parte che si suona è sul legno.
L'opposto di una chitarra. Restituisco il krar in preda
all'imbarazzo, sentiamo un ultimo pezzo, ringraziamo e andiamo a
mangiare all'Isola Verde, take-away dove vieni invitato a fare “come
da noi e a lasciare stare coltello e forchetta”: il proprietario ci
mostra il lavabo che si aziona a ginocchio. Consumiamo il nostro
zigni sotto a tre fotografie
di Asmara nel 1945. Poi ci laviamo di nuovo le mani, impariamo a dire
grazie in eritreo e ci complimentiamo con la cuoca in italiano,
ripromettendoci di diventare degli habitués.
Mentre digeriamo leggiamo l'alfabeto amarico sulla porta di un
negozio che vende anche musica con l'invito in inglese a non
copiarla! Per un piatto veloce si può mangiare anche un'ottima pizza
al Santa Maria, che fa anche kebab. Proseguiamo su via Tadino, fino
ad attraversare viale Tunisia e ad incrociare via san Gregorio, che
svela un angolo con un incredibile altarino: è la fantasia iconica
di una chiesa ortodossa, in felice contrasto con la regolarità del
paesaggio circostante. La chiesa è adiacente ad una scuola. Tra la
scuola e la chiesa in mattoni rossi c'è una striscia di giardino,
nascosta dietro un cancello coperto di edera finta. Se sono andata
fino a lì per spiare è perché ho sentito il verso di un uccello
sconosciuto – chi ha visto il film “Up” avrebbe come me
immediatamente esclamato:– Il beccaccino!–
Palazzi
sontuosi e palazzi più popolari si susseguono, fino a che
imbocchiamo via Boscovich ed infine il parco di via Benedetto
Marcello, con le sue belle panchine fatte per uomini soli, seduti qua
e là, a distanza. Sotto la folta vegetazione aspettiamo l'imbrunire,
poi riprendiamo il cammino verso casa. All'incrocio
con via Vitruvio scopriamo il quartier generale di Magdi Cristiano
Allam: la sede del suo partito Amo L'Italia e dei suoi Italiani Veri.
La piazza del mercato
vuota sulla sinistra, il palazzo Liberty con il caffé Liberty di via
Petrella. Il parrucchiere bengalese che chiude alle 21 e che propone
in vetrina tutti i tagli fantasmagorici che è in grado di fare,
mentre un cliente si assicura davanti allo specchio che i suoi baffi
siano a posto. Siamo in piazza Caiazzo, scivoliamo lungo gli alberi
di via Pergolesi e ormai manca poco a Loreto..
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