"..metterci nei loro panni, un'impresa snervante che non riesce mai perfettamente." C.Geertz
sabato 24 settembre 2011
Antropologia del Parcheggio
Cosa succede in un paesotto come il mio? Non molto. Sembra. In realtà tutto. In piccolo? No, a volte in modo più drammatico, perché piccolo è il contenitore. Nell'ultimo mese ho potuto studiare un interessante e contemporaneo caso che per essere compreso ha bisogno del punto di vista dell'antropologia dello spazio. Dieci anni fa qui c'era un bosco. Di fronte a ciascuna delle finestre che da una mappa potevano sembrare vicine, solo verde. Fresco d'estate, giochi avventurosi, lo spazio della casa che si estende fuori da un cancello sempre socchiuso. Gli amici che parcheggiano alle soglie del bosco, i fidanzati che attendono nella penombra. Oggi un parcheggio, oltre a un pezzo di verde, alti lampioni da stadio, una cinta di ferro che si è presa tutto quanto le spettava di diritto. I cancelli si sono chiusi, gli amici vengono ricoverati con le loro auto in fretta e furia nei cortili per non occupare per troppo tempo la strada. Il parcheggio giace di fronte a noi triste, ma forse siamo noi a distenderci sopra il nostro sguardo di tristezza. È come un teatro, vi avvengono cose, che non avevamo chiesto di vedere. Scopriamo di avere dei vicini, dei dirimpettai. Troppo lontani per scambiarci il sale o le ricette, abbastanza vicini da sapere di condividere qualcosa. Uno spazio, appunto. Che però non può diventare nostro. Né di noi da questa parte, esclusi dal muro di cinta. Né di loro dall'altra, seppur più prossimi all'ingresso, perché da questo spazio si sentono minacciati.
Adesso ci sono dei ragazzotti che quando hanno abbattuto il bosco forse avevano appena imparato a camminare. Sono qui e pensano che questo posto sia destinato a loro, che appartenga a loro da sempre. Non si accorgono della profanazione. Ci insultano e urlano. Hanno incominciato a fare danni. La parte più frustrante del rapporto di questa gente con questo spazio. Dal punto di vista legale non possiamo avanzare nessuna pretesa sull'uso di questo terreno. Abbiamo subìto inermi la sua trasformazione. Lo spazio è stato razionalizzato da parte dell'amministrazione comunale, che ne ha deciso la destinazione. Abbiamo seri dubbi sul fatto che conoscesse bene le abitudini e i bisogni degli abitanti della zona e ne potesse anticipare le risposte in termini di comportamenti funzionali. Di fatto il parcheggio non è sfruttato, l'amministrazione ha investito male i suoi soldi e l'intervento è stato un insuccesso perché giunto da fuori, da mano frettolosa, funzionale e straniera senza tenere conto della felicità dei cittadini. Come se la felicità fosse un valore secondario. Ipocriti, è l'unica cosa a cui pensiamo incessantemente.
Tutto questo mi ricorda gli spostamenti forzati di popolazione, la costruzione di ghetti per il sottoproletariato nelle grandi città, la decisione di mantenere sotto-sviluppate alcune zone di un Paese a favore di altre.
I vicini che non si conoscevano adesso hanno deciso di reagire collettivamente al disagio. Adesso la depressione lascerà spazio alla sensazione di essere più forti, di non farsi schiacciare da dei piccoli anatroccoli ignoranti. Vediamo come andrà.
Intanto abbiamo visto come lo spazio abbia influito sulla vita delle persone
1)quando era bosco, creando intimità e confini meno netti tra dentro la casa e fuori
2)quando era parcheggio, delimitando, affrettando, separando, angosciando, chiudendo la casa dentro i propri confini. Ma esponendo la casa ad altre case, nuclei isolati.
3)Quando era terreno di battaglia, creando unità, scopi comuni, senso civico condiviso, identità di vicinato.
Chissà se i desideri e le azioni degli abitanti potranno a loro volta incidere sullo spazio e trasformarlo in cortile, piazza, punto di ritrovo.
Iscriviti a:
Post (Atom)